La mia Dinner Date | Corso di avvicinamento a una wine (e food) lover | Estratto del cap IX di Sex and the wine

CAPITOLO IX

Corso di avvicinamento a una wine (e food) lover

Avevo trascorso gli ultimi tre giorni in un latente stato di agi- tazione, ma fortunatamente nessuno se ne era accorto. Del mio articolo su Octopus, del resto, non ne avevo fatto parola né con Roberto né con i miei genitori, mentre alle ragazze del club ave- vo chiesto di radunarci al Black Lounge per un aperitivo la sera del giorno in cui sarebbe uscita la rivista.

«Come mai?», mi aveva chiesto Alessandra. Il Black Lounge non era uno dei locali che frequentavamo usualmente e proprio per questo lo avevo scelto: se le cose fossero andate male non avrei avuto in giro troppa gente che conoscevo. Al contrario, se l’articolo avesse colpito nel segno, avremmo proseguito la serata al Church.

«Ti posso solo dire che ci saranno da stappare molte bollicine, per festeggiare o per dimenticare».

«In pentola deve bollire qualcosa di grosso, allora. Nemmeno quando è uscito il tuo libro avevi organizzato una serata con questi presupposti».

«Hai ragione, lunedì sarà un giorno importante. Ci vediamo lì alle 18?»

«Non è troppo presto per te?»
«No, lunedì ho deciso di non lavorare».
«Va bene, ci vediamo lì». Alessandra aveva capito dal mio tono di voce che non sarei scesa in maggiori dettagli e che avreb- be dovuto aspettare un paio di giorni per trovare le risposte alla sua curiosità.

Telefonai alle altre ragazze replicando più o meno con tutte e tre la conversazione avuta con Alessandra. Il fine settimana era passato veloce: sabato sera ero stata impegnata nel party che la cantina trentina La Vis aveva organizzato al Guggenheim di Ve- nezia per festeggiare i vent’anni della sua linea di vini Ritratti, mentre domenica con Roberto avevamo deciso di fare una sor- presa a suo figlio, Alessandro, e così eravamo andati a Gardaland, il famoso parco giochi del Garda, per poi cenare a suon di tortelli di zucca a Valeggio sul Mincio. A forza di venire per ristoranti con noi e di sentire parlare di cucina, Alessandro aveva inizia- to ad appassionarsi: preferiva il culatello al prosciutto crudo, lo Strolghino di Langhirano al comune salame, la pasta fatta in casa ai tortellini confezionati del supermercato. C’era voluto qualche anno, ma alla fine ero riuscita in tre piccole “imprese”, se si consi- derano i gusti alimentari di un bambino: fargli preferire la carne al sangue invece che ben cotta (a differenza di suo padre che ancora la mangiava stile “suola da scarpe”), le patatine fritte fatte con le patate fresche rispetto a quelle surgelate, la torta fatta in casa invece che le merendine confezionate. Recentemente ero riuscita a convincerlo anche a mangiare il pesce. In quest’ultimo caso, però, la situazione mi era sfuggita di mano: Alessandro mangiava solo il pesce freschissimo, di mare e possibilmente cucinato alla brace, meglio ancora se in qualcuno dei suoi due o tre ristoranti di pesce preferiti. Il Mc Donald’s restava sempre nella top ten dei suoi locali del cuore, ma non era più la tappa obbligata di ogni sabato sera. Miracolo. Il mio palato era salvo, e anche il suo. Con il vino, invece, ancora non c’era stato verso.

«Ti metto nell’acqua un po’ di questo Valpolicella?», gli chiesi mentre stavamo aspettando i nostri tortelli di zucca.

«No, lo sai che non mi piace», mi rispose Alessandro, poi pre- se la Coca Cola e ne fece un bel sorso.

«È più buona quella, vero? Soprattutto più sana…».

«No, ma io acqua e vino non la bevo. E non attaccare con la solita storia che tu hai iniziato a berla quando avevi quattro anni. Io il vino non lo berrò mai».

«Non dirlo neanche per scherzo, lo sai che gli astemi mi fanno paura, non c’è da fidarsi. Una delle mie regole è: mai fidanzarsi con un ragazzo (o una ragazza nel tuo caso) che non beve vino. Ricordatelo per quando sarai più grande».

«Ah sì, e quali altre regole hai sui fidanzati?», ci interruppe divertito Roberto.

«Beh, il banco di prova per me è sempre passato attraverso la tavola. Continuo a ripeterlo anche alle ragazze, ma spesso se lo dimenticano…».

«E sentiamo un po’, quale sarebbe il tuo decalogo?»

«Anzitutto, partiamo dall’invito. Se uno al primo appunta- mento ti porta in pizzeria le cose da fare sono due: se sei in tempo per fingere un mal di testa per dare forfait, fallo, se invece la location era una sorpresa, finisci la pizza, fatti portare a casa e non rispondergli più al telefono. Non c’entrano i soldi, ma credo che uno che sia davvero interessato a te, la prima cena insieme ci tenga a fare in modo che sia speciale, come ambiente, atmosfera e menu, non trovi?»

«Giusto», confermò.

«Secondo: l’aspirante fidanzato deve dare per scontato che verrà a prenderti a casa. Se ti dà appuntamento direttamente al locale, anche in questo caso un malessere improvviso sarà utile per dargli buca e cancellarlo dalla tua rubrica telefonica. Mettia- mo invece che lui venga a prenderti a casa: dovrà essere puntua- le e aprirti la portiera dell’automobile».

«Esagerata», commentò Roberto.

«Tu lo fai sempre e non sei l’unico uomo che ho incontrato che ha l’abitudine di farlo».

«Penso che tu sia stata fortunata, perché io invece ritengo che non sia un atteggiamento così comune, non più almeno… Dai, vai avanti, che questa cosa mi sta divertendo tantissimo…».

«Il ristorante non deve essere stellato, va bene anche se è un’osteria, ma di quelle particolari, curate. Diciamo che il loca- le scelto dall’aspirante conquistatore vada bene. A quel punto scatta il rituale della cena. Lui deve aiutarti a togliere e mettere il cappotto, versarti il vino a tavola e tenere sempre d’occhio il bicchiere perché non dovrà mai essere vuoto, guardare solo te per tutta la sera, conversare con disinvoltura».

«Tutto qui?», chiese ironico.

«Ovviamente no. Buoni indizi li darà quello che ordinerà dal menu e, soprattutto, il suo modo di mangiare. Uno che si gusta ogni piatto con la giusta calma, assaporando ogni boccone, si comporterà nello stesso modo anche nella vita: saprà gustarsi ogni momento, non solo a letto».

«In che senso a letto?», intervenne Alessandro che ci stava ascoltando attentamente.

«Te lo spiego fra un paio di anni», gli rispose Roberto.

«Non è giusto papi, mi dici sempre così», protestò lui arric- ciando il suo nasino alla francese in una smorfia di disappunto. Era proprio un bel bambino, alto, ben strutturato, con la pelle di pesca, i capelli castani leggermente ondulati e due occhioni noc- ciola da cerbiatto che ti avrebbero convinta a fare qualsiasi cosa.

«Poi non dimenticarti il discorso del vino. Se uno è astemio semplicemente per presa di posizione potrebbe essere la perso- na più affascinante della terra, ma penserei comunque che ha qualcosa che non va», subentrai per distrarre Alessandro.

«Per fortuna, quando siamo usciti assieme per la prima vol- ta ho fatto scegliere a te il ristorante… Trovo stupefacente che qualcuno sia riuscito a superare la prova. Poi davi i voti? In “forchette”, in “stelle”, in “grappoli” o in centesimi? E io come sono andato quella sera al Canto del Maggio?», scherzò Roberto ridendo di gusto.

«Sei andato benissimo, e lo sai. È stato tutto perfetto, fin dal primo momento. Diciamo che ti ho dato un bel 94/100».

«Solo?»

«Si può sempre migliorare tesoro», gli risposi strizzandogli un occhio.

Si può sempre migliorare. Questa è uno dei capisaldi della mia filosofia applicata a me stessa: tagliato un traguardo, devo subito prefissarmene un altro da superare e deve essere più dif- ficile del precedente, altrimenti che gusto c’è? La copertina di Octopus era uno di questi obiettivi e lo avevo centrato in tempi discretamente brevi: dopo otto mesi di collaborazione,  [Prosegue nel romanzo Sex and the Wine, di Francesca Negri]

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