Il Club delle Degustatrici

Geisha Gourmet parla al femminile per un pubblico che cerca un modo diverso – forse nuovo – per degustare la vita.

La Geisha Gourmet rappresenta una nuova generazione di donne che non ha timore di concedersi i piaceri enogastronomici senza sensi di colpa.

Helen Gurley Brown, la storica direttrice di Cosmopolitan, nel 1962 aveva pubblicato un libro mai tradotto in Italia: Sex and the Single Girl. Fu la sua fortuna, rappresentò la rivoluzione. La Gurley Brown snocciolava istruzioni per ottenere tutto dalla vita: denaro, successo, uomini. In un’epoca in cui la migliore prospettiva per una ragazza era sposare un buon partito e se a 23 anni non eri ancora convolata a nozze facevi meglio a buttarti nel Gran Canyon, Helen elogiava le single e le esortava a lavorare sodo per raggiungere l’indipendenza economica che avrebbe garantito loro le libertà che meritavano, compresa quella sessuale: non contare sugli uomini quando vuoi qualcosa nella vita, prenditela da sola, scriveva. Negli anni Sessanta  la conquista della libertà per le donne era il diritto all’orgasmo senza sensi di colpa, anche fuori dal matrimonio.

Oggi l’indipendenza economica è  diventata realtà, lo sdoganamento dal ruolo di moglie e madre anche, e il diritto al piacere sessuale è una prassi ormai accettata. Siamo a buon punto, c’è però un’altra importante libertà che le donne devono conquistare: il diritto all’orgasmo enogastronomico senza sensi di colpa.

Geisha Gourmet spera di rappresentare una nuova generazione di donne che fanno del cibo e del vino un vero e proprio piacere di cui godere appena possibile, una componente essenziale della loro vita, una via d’espressione privilegiata e alla stregua di un vestito o un paio di scarpe: ho voglia di una serata chic? Tacco 15, vestito firmato e champagne. Ho voglia di stare easy? Jeans, t-shirt e un Lugana.

Il cibo e il vino come simboli di una nuova generazione di donne è un argomento tutt’altro che facile come forse potrebbe sembrare. Se si ripercorre la storia, infatti, si scopre che il cibo per le donne è sempre stato una rappresentazione di sé, un fattore di comunicazione e addirittura di protesta. Noi donne forse più di tutti siamo quello che mangiamo.

E allora sfogliando i libri di storia e sociologia scopriamo che nel Medioevo c’erano le sante anoressiche, nient’altro che donne che utilizzavano il cibo – forse sarebbe meglio dire l’astinenza dal cibo – per protestare contro, ad esempio, un matrimonio forzato: piuttosto di cedere al volere della famiglia, queste donne si privavano del nutrimento, lasciandosi lentamente morire. Oppure c’erano quelle donne che, per avvicinarsi a Dio e al calvario di Gesù nella via crucis, martoriavano il proprio corpo con digiuni impossibili, in modo che il loro fisico iniziasse a recare i segni delle sofferenze di Cristo.

Poi c’erano le donne additate di utilizzare il cibo per uccidere i propri nemici, oppure per irretire le proprie prede maschili. E ovviamente questo era motivo di essere messe al rogo.

Essere magre, per le donne, è sempre stato un canone di bellezza estrema e, in alcuni secoli, elemento di distinzione tra aristocrazia e popolo: le donne aristocratiche dovevano essere filiformi, con un bel seno, collo lungo, gambe e braccia sottili, pelle diafana; le donne del popolo, invece, più erano tornite meglio era, perché il lavoro necessitava energia e così il fare figli.

In Via col vento, un film che penso tutti abbiamo visto con più o meno attenzione,  ecco i consigli di Mamy: a una Rossella entusiasta di andare a un ballo perché così avrebbe potuto mangiare tante cose buone lei replica di inghiottire immediatamente un uovo sodo intero, in modo da sentirsi sazia e non mangiare nulla al party, perché le signorine che vogliono trovare marito devono dare l’idea di non mangiare molto, anzi, di mangiare “come un uccellino”. Ecco, questa era una delle mode che più hanno perdurato nei secoli: tra le caratteristiche di una buona aspirante moglie ci doveva essere il non necessitare di grande nutrimento, in modo da non pesare tanto sul bilancio familiare. L’esatto opposto di chi era di tradizione contadina: lì se non eri bella in carne e soprattutto se non sapevi fare una polenta perfetta non ti sposava nessuno…

Altro mito perpetuato da una delle donne simbolo per l’immaginario femminile, la principessa Sissi, è il vitino da vespa (circonferenza di appena 55 cm)… Penso che sia la misura del mio giro-coscia…

Il capitolo vino, anch’esso un grande nutrimento, non è da meno. Alle donne è sempre stato vietato: ai tempi dei Romani ti ammazzavano se ti scoprivano anche solo con le chiavi della cantina in mano, e fino agli anni Settanta – o forse anche un po’ dopo – non eri una brava ragazza se ti facevi vedere bere un bicchiere di vino in pubblico.

Insomma, un po’ le donne, molto gli uomini, hanno sempre, per secoli e secoli, turbato l’alimentazione del mondo femminile. Per questo la nuova generazione di donne che vuole rappresentare Geisha Gourmet si racconta attraverso il cibo e il vino. Sono donne che fanno del mangiare e del bere vino un simbolo di emancipazione da quella società maschile che per secoli ha privato le donne di questi piaceri. Sono donne che godono dell’enogastronomia, la vivono come vivono gli uomini: con  la stessa curiosità, con la stessa voglia di essere sedotte (anche se da un risotto o da un Amarone), con gli stessi motti di fedeltà e infedeltà, per essere libere di sperimentare cose nuove e scoprire nuovi piaceri, a letto come a tavola.

Dopo la libertà economica e sessuale, cibo e vino sono la nuova frontiera di emancipazione delle donne.

La Geisha Gourmet rivendica il diritto al piacere enogastronomico al motto di “Live Yummy“,  slang americano che significava sia una cosa buonissima da mangiare sia una persona estremamente sexy, sensuale, hot, da gustare piano come si potrebbe fare con un bicchiere di Pedro Ximenez.

Live Yummy. Be Geisha Gourmet.

 

Come si vive Yummy? Cosa vuol dire essere Geisha Gourmet?

In due parole vuol dire degustare la vita.

Anzitutto perché adoriamo gustare qualcosa di sfizioso e far girare nel bicchiere un po’ di vino buono mentre parliamo di noi, di quello che ci è successo durante il giorno, di quelle scarpe che abbiamo visto in vetrina e che vogliamo comperare, di quell’sms di invito a cena arrivato inaspettatamente da uno degli ultimi uomini conosciuti sul lavoro.

Ma non solo. È il nostro approccio generale nei confronti di tutte le cose che si può definire da “degustatrici”. Chi degusta il vino, ad esempio, compie un’analisi visiva, una olfattiva e una gustativa. Sono parametri su cui, in generale, ci si basa anche nella vita di tutti i giorni.

Partiamo dall’analisi visiva, che secondo i manuali enologici consente di eseguire una prima valutazione complessiva sulla qualità del prodotto. I principali parametri che si valutano sono: colore (sfumatura e intensità), limpidezza o trasparenza, consistenza o fluidità, effervescenza. Poi c’è l’analisi olfattiva che va a scoprire e definire profumo, intensità e complessità. Infine, l’analisi gustativa, attraverso la quale si valuta corpo, armonia e, ancora una volta, intensità. Dopo aver completato le tre fasi delle analisi sensoriali, si arriva alla fase conclusiva, rivolta a descrivere le sensazioni generali derivate dall’insieme dei parametri considerati. In questa fase vengono definite la sensazione gusto-olfattiva, l’armonia o equilibrio, lo stato evolutivo, le impressioni generali.

Non vi sembra che sia lo stesso procedimento con cui tutti noi valutiamo le cose e, soprattutto, le persone che incontriamo?

[adattamento del capitolo Il club delle degustatrici del mio romanzo Sex and the wine, dicembre 2010, Daily Book Expo Milano 2015]

Io sono una Geisha Gourmet. E voi?

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