Intervista a Ruben Larentis: «Il vino? Bisogna avere il coraggio di saperlo aspettare»

Domenica è uscita sul Corriere del Trentino e Corriere dell’Alto Adige la mia intervista a Rube Larentis. Per motivi di spazio del quotidiana, è uscita in forma ridotta quindi qui potete trovare la versione integrale di una chiacchierata davvero interessante. Buona lettura.

 

Da quella volta in cui, ancora ragazzino, sbagliò le quantità di solforosa nel vino che stava producendo con l’uva di suo padre, a oggi, Ruben Larentis, l’enologo e direttore tecnico di Cantine Ferrari, ne ha fatta di strada, al punto che lunedì scorso a Londra il più importante critico del mondo degli sparkling, Tom Stevenson, gli ha conferito il Premio alla carriera nel corso della cerimonia di The Champagne & Sparkling Wine World Championships che ha visto Ferrari insignita anche del titolo “Sparkling Wine Producer of the Year 2019”, il Ferrari Perlé Rosé Riserva 2013 nominato World Champion nella categoria Rosé e il Ferrari Perlé Nero Riserva 2010 World Champion nella categoria Blanc de Noirs,

Larentis, qual è il segreto di tutto questo successo?

Penso che siamo riusciti a creare uno lo stile di Ferrari  che è ormai molto apprezzato, sia dalla critica sia dal mercato. Il CSSWW è davvero il più importante concorso mondiale per gli sparkling perché in gara ci sono vini delle aree geografiche di tutto il mondo, da New York all’Argentina, dalla Francia all’Italia, e soprattutto partecipano tutti i più grandi nomi, dal Dom Perignon al Cristal. Essere accostati come cantina e con i nostri metodo classico ad aziende come queste, che hanno fatto la storia dello Champagne, è già una vittoria.

A che punto è il Trentodoc oggi?

In questo momento mi pare che la nostra denominazione si stia diffondendo sempre di più sia tra la critica enologica sia tra i consumatori. Lo vedo sempre di più nelle carte dei vini, insomma finalmente inizia a essere una denominazione conosciuta ma il lavoro di comunicazione fatto fino a oggi deve proseguire. Oltre a questo, bisognerebbe che aumentasse il numero di produttori, perché la varietà porta valore aggiunto, altrimenti il Trentodoc resta solo Ferrari e altre due cantine e  tre realtà non sono sufficienti per parlare di territorio. Il Trentino ha una vocazione altissima per gli spumanti, la potenzialità c’è, questo concorso lo dimostra.

Come è possibile incentivare la nascita di nuove Maison di Trentodoc, secondo lei?

Ci sono tanti giovani, molto bravi, che vorrebbero iniziare un’attività in proprio di questo tipo, ma andrebbero aiutati anche economicamente, ci vorrebbe una politica che aiutasse le piccole aziende che nascono, con un progetto valido. Le stesse cantine sociali potrebbero favorire i conferitori a fare delle produzioni indipendenti, alla fine una proposta più numerosa andrebbe a vantaggio della denominazione e di tutto il Trentino viticolo, quindi delle stesse  cantine già presenti, creando una forte motivazione nei nostri giovani.

Lei compie sessant’anni il 6 gennaio. Quando andrà in pensione?

Non ci ho mai pensato, si vedrà. Se andrò mi piacerebbe aiutare qualche piccola azienda, magari vicino al mare così mia moglie è contenta, ma solo per divertimento, in amicizia.  Quel che è certo è che non ho mai pensato di comprare vigne o una cantina tutta per me, ho sempre cercato di fare bene il mio lavoro in Ferrari e basta. Sono arrivato in Ferrari appena diplomato, era il 1986, perché il mio professore, all’Istituto agrario di San Michele, era a scuola con Mauro Lunelli e quando c’era un assunzione da fare chiamava sempre lui, che gli segnalava gli alunni più meritevoli. Fin dall’inizio sono sempre stato ascoltato e messo in condizione di lavorare bene, ho imparato molto e avuto tante soddisfazioni, spero negli anni di essere riuscito a contraccambiare la fiducia che la famiglia Lunelli mi ha dato.

Come è cambiato il Trentodoc e il modo dei metodo classico negli anni?

Negli anni ‘80 i metodo classico erano abbastanza rigidi e con poco zucchero, dosaggi bassi, a volte non facevano malolattica, il clima era più freddo, la maturazione era meno spinta di oggi. Poi, negli anni ’90,  i dosaggi sono aumentati per avere più morbidezza, il mercato voleva questo e anche noi ci siamo adeguati: gli champagne a quei tempi avevano 14-15 grammi a litro. Forse noi siamo stati i primi, dopo il 1995, ad abbassare gli zuccheri per avere più bevibilità e  fare in modo che il nostro spumante si potesse bere a tutto pasto. Oggi, invece, a mio avviso siamo in una fase un po’ esasperata, dove sembra che più basso sia il dosaggio , più bravo sei: il trend dei Pas Dosé è eccessivo,  non è detto che vada bene per tutti i vini. Di principio non si può pensare di non dosare, bisogna prendere questa decisione assaggiando il vino che si ha in bottiglia. Bastano 2 o 3 grammi in più per cambiare l’impostazione del vino. Oggi, comunque, la differenza sostanziale è la consapevolezza maggiore nella gestione del vigneto e dell’uva, c’è molta più precisione e le produzioni sono più basse e controllate anche perché vengono pagate bene: si va dall’1,60 euro per lo Chardonnay ai 2,5 euro per il Pinot Nero.

Come si diventa un enologo come lei?

In primis serve la passione, per me è nata all’ Istituto Agrario di San Michele  e la fortuna di essere entrato in Ferrari la ha sicuramente aumentata. Oggi un bravo enologo deve avere una buona conoscenza dell’agronomia, serve conoscere bene la qualità dell’uva di partenza. Dopo la scuola un giovane enologo ha bisogno di esperienze in diverse cantine, in Ferrari ogni anno noi abbiamo una quindicina  di ragazzi giovani in stage durante la vendemmia e a loro dico sempre che prima di pesare agli assaggi  devono vivere la campagna.

Oggi in viticoltura si parla molto di cambiamenti climatici. Come siamo messi in Trentino?

Per noi il cambiamento climatico è stato un vantaggio perché ha permesso all’uva di maturare meglio. Le montagne ci aiutano, sia per poter andare in quota con i vigneti (non più di 600-700 metri) sia per l’aria fresca che portano sul territorio e poi è importantissima una gestione agronomica precisa e biologica del vigneto, in modo di avere delle vigne più resistenti agli sbalzi climatici, con forti piogge o periodi di siccità troppo lunghi.

Oggi in ogni regione che vai trovi uno spumante. Lei cosa ne pensa?

Questa è un’altra esasperazione dei nostri tempi. Credo che ci siano delle zone dove non ha davvero senso produrre bollicine. Inoltre sono convinto che le varietà adatte per il metodo classico siano solo Pinot Nero e Chardonnay , gli altri vitigni spesso hanno un carattere, un’ espressività talmente forte che prevale sul carattere determinato dalla rifermentazione. Tra le altre zone spumantistiche italiane penso che l’Alta Langa avrà un buon sviluppo, ha belle potenzialità.

Che consigli  può dare a chi produce metodo classico?

In primis di gestire tutto il processo, fin dalla pressatura, che è fondamentale, se lo si fa fare da altri non si potrà mai capire l’evoluzione del proprio vino  e le motivazioni di certi risultati organolettici. Bisogna avere il coraggio e la pazienza di  saperlo attendere  e, così, rispettare, perché lui magari si evolve e arriva da solo dove volevi che arrivasse. Se, invece, si vogliono accorciare i tempi,  magari facendo aggiunte “miracolose”, spesso il risultato è negativo e nel bicchiere manca espressività ed eleganza, due caratteristiche imprescindibili per il metodo classico.

Qual è stata la sua annata migliore?

Ogni vendemmia è diversa, ognuna a suo modo è emozionante e bellissima, cerco di viverle ancora oggi con gran voglia di sperimentare, di migliorare e di apprendere qualcosa di nuovo. Le posso dire però qual è il vino di cui vado più orgoglioso: è il Giulio Ferrari Rosé, per fortuna è arrivato per ultimo e i tanti anni in Ferrari, mi hanno aiutato a capire l’importanza di saper aspettare di attendere, la sua evoluzione era per me un mistero, per lo chardonnay è tutto più semplice la sua evoluzione è più chiara e meno problematica, il risultato mi appaga totalmente, è stato complicato dover aspettare più di dieci anni prima avere un riscontro positivo dalla critica, questi sono i tempi nell’elaborazione del metodo classico.

 

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