Gino Lunelli: lascio la presidenza di Ferrari. Ma ho molti altri progetti

Suo fratello Franco confida divertito: «Gino dice sempre che le dichiarazioni fatte in pubblico non hanno nessun valore legale. Ogni anno dice che lascia, chissà se questa è la volta buona». Pare proprio di sì. Gino Lunelli ha annunciato giovedì sera, davanti a un parterre di vip accorsi alla Triennale di Milano per la cerimonia del Premio Ferrari, che tra poco lascerà la poltrona di presidente della Ferrari F.lli Lunelli, e nonostante gli annunci pubblici lascino il tempo che trovano, per Gino è veramente ora di voltare pagina. «Il lavoro – afferma non senza emozione – mi ha divertito e dato tantissime soddisfazioni, ma ora mi sono accorto che non ho più gli stimoli e l’entusiasmo di un tempo. Per questo è bene che lasci il mio posto». A chi, ancora, non è dato sapere. Si sa, invece, che il riposo del “guerriero” sarà breve. Perché Gino Lunelli, classe 1939 ma con uno spirito e un carisma da trentenne,  tutto ha nella testa tranne che di restare con le mani in mano oppure di mettersi in poltrona e lasciarsi coccolare tutto il giorno dall’amata moglie Francesca.

 

Cinquantatre anni in Ferrari, di cui trenta come amministratore delegato e gli altri come presidente. Dottor Lunelli, come si fa a lasciare dopo una carriera di lavoro e successi?

Non  è facile, ma è tempo che io lo faccia. È dall’1 ottobre 1958 che lavoro in Ferrari, acquistata dalla famiglia sei anni prima: appena mi diplomai al liceo classico Prati, mio padre mi fece entrare in azienda. Mi sono anche laureato in Economia e Commercio a Parma, ma sempre lavorando.

 

Quali sono i suoi ricordi più beli?

Ne ho tanti e tutti legati alla moltitudine di persone che ho conosciuto grazie al mio lavoro. Vede, il problema era promuovere il nostro prodotto, ma non avevamo i soldi.

 

Come si fa a promuovere un prodotto senza avere i soldi per farlo?

Ti fai amico grandi personaggi, i quali maneggiano la tua bottiglia e questo diventa subito molto più di una reclame, diventa uno status symbol. Questi personaggi ti fanno partecipare anche a grandi eventi, ma in cambio bisogna essere sempre pronti a correre, senza guardare che sia sabato o Natale. Personalmente, ho avuto la fortuna di conoscere personaggi straordinari, come Indro Montanelli, Enzo Biagi, Giorgio Bocca, Enzo Ferrari, Nino Manfredi, Ugo Tognazzi, Luciano Pavarotti, Niki Lauda… Dalla politica ne sono sempre rimasto un po’ fuori, ma da Prodi a Berlusconi li conosco tutti.

 

Come è riuscito ad avvicinare personaggi di questo calibro?

Ah, questo non glielo dico – dice ridendo – però posso dirle che bisogna avere tanta voglia di muoversi, andare ad eventi, essere simpatico e disponibile.

 

La sua più grande soddisfazione?

Quando a 47 anni mi hanno assegnato il titolo di Cavaliere del lavoro: a quel tempo ero il più giovane d’Italia.

 

Perché ha deciso di lasciare, allora?

Perché a settant’anni mi sono accorto che non ho più l’entusiasmo di un tempo. Spero di aver dato alla mia azienda dei comandamenti ben chiari e degli obiettivi ben definiti.

 

Qual è il segreto di Ferrari?

Sicuramente la cultura aziendale. Senza di quella non saremmo riusciti a compiere 110 anni. Poi c’è la scelta dell’unicità: la filosofia dello spumante è votata all’estrema qualità, facendo un unico prodotto, elitario e di altissimo livello. E poi, bisogna essere iper specializzati per avere credibilità nei confronti della gente.

 

Ora che il testimone passerà a qualcun altro, qual è il suo auspicio?

Che tra cent’anni Ferrari ci sia ancora, con la sua cultura e i suoi valori.

 

Qual è il suo rapporto con il Trentino?

Sono innamorato della mia terra. Sono nato in piazza Italia. Mi sono sposato e vivo in piazza Duomo… Più TrentoDoc di così non si può. Le dirò di più, credo di aver sacrificato la mia azienda per il mio “trentinismo”…

 

In che senso?

Imprenditorialmente, la scelta migliore sarebbe stata quella di portare la parte commerciale di Ferrari a Milano, nel cuore della comunicazione, degli affari, della grande stampa. Non l’ho mai voluto fare per questo mio attaccamento a Trento e al Trentino. Certo i difetti ci sono: i trentini sono chiusi, brontoloni e non sono mai contenti. In fondo, anch’io sono così.

 

Non si è mai sentito invidiato?

Non è che io sia chi sa chi. Ho lavorato tanto da ragazzo, sacrificando molto della mia vita privata. Certo le bollicine Ferrari arrivano sulle tavole di tutti i grandi del mondo, ma in fondo la nostra è una piccola azienda… Non credo che i trentini mi invidino.

 

Magari, se non la invidiano, qualche volta la fraintendono, come è capitato per il Monte Bondone?

Lasciamo stare questo argomento…

 

Ma no, mi spieghi…

Guardi, io ho vissuto sul Monte Bondone come sfollato dai 3 ai 6 anni, durante la guerra. Da sempre ho casa lì e ci vado spesso. Circa 25 anni fa ho fatto un errore di gioventù, se così lo possiamo chiamare.

 

Quale?

Mi ero messo in mente che era il momento di rilanciare il Bondone. Così, ho convito Ito Del Favero e un gruppo di altri amici a impegnarci tutti in questo senso. Abbiamo costituito una società che poi ha incaricato alcuni studi, pagati profumatamente, perchè approntassero un piano di rilancio di questa montagna. Quindi abbiamo fatto fare un plastico e lo abbiamo presentato al Comune di Trento.

 

E come andò?

Ci dissero che volevamo fare una colata di cemento, che volevamo allungare le mani oltre che su Trento, anche sul Monte Bondone. Il nostro desiderio, invece, era quello di regalare alla città un piano di sviluppo per il Bondone serio, non da chiacchiere da bar. Non siamo stati capiti.

 

Cosa avete fatto, allora?

Abbiamo pagato il lavoro dei consulenti, centinaia di milioni di vecchie lire, e abbiamo messo i progetti nel cassetto. Ora sono stati investiti non so quanti milioni di euro dalla Provincia autonoma di Trento per rilanciare il Monte Bondone: lascio a voi giudicare se siano stati spesi bene o meno.

 

So che c’è un’altra cosa, però, che proprio non le va giù, e riguarda la vostra nuova cantina in Umbria, a Montefalco…

È vero. Sto facendo fare un’opera d’arte straordinaria, l’unica scultura al mondo in cui si vive e si opera in una regione che non conosco. Avrei voluto farla qui, e invece era in Umbria che avevamo bisogno di costruire questa struttura. Se solo non mi fosse venuto in mente di convincere Pomodoro…

 

Arnaldo Pomodoro, lo scultore. Con la vostra cantina firma il suo primo e probabilmente unico edificio-scultura.

Esatto. Probabilmente solo per questo verranno a visitarla  da tutto il mondo. Non pensavo che il risultato fosse forse l’opera d’arte più bella di Pomodoro e a mio avviso una delle più belle in assoluto al mondo: una scultura a forma di carapace (il guscio della tartaruga, ndr) di 38 metri per 28, con tanto di ziggurat racchiuso all’interno di una scala elicoidale, che sarà adibito a sala degustazione.

 

Lei ha detto che ora che lascia Ferrari dovrà trovarsi qualcos’altro con cui divertirsi. Ha già qualche idea?

Sa, non avendo figli ho pensato che la cosa migliore fosse lasciare tutto a una Fondazione, con una persona dipendente e il resto in forma di volontariato, attraverso la quale occuparmi dell’Africa e della sua gente, che versa in condizioni inimmaginabili ed inenarrabili. E poi andrò a fare molte passeggiate in montagna con mia moglie…

 

Non mi dica che ora, improvvisamente, il suo motto sarà “dolce far niente”…

No, però un po’ di relax me lo merito – sogghigna sornione -. Oltre a Ferrari, sono stato membro di 19 consigli di amministrazione, tra cui anche in Unicredit. Ora sono uscito da tutti. In futuro, oltre alla mia Fondazione, farò solo qualche cda di Ferrari, mi dedicherò all’Unione cristiani imprenditori e ad altre cose che si fanno per gli amici.

 

E se qualcuno le chiedesse di dare una mano al Trentino in veste di consulente, lei rifiuterebbe?

Sì, perché per queste cose ci vogliono i giovani.

 

 

 

 

 

 

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