Avevo chiesto a Zoe, la mia migliore amica, divoratrice di libri di tutti i generi e appassionata dei film di Tarantino, di fare una piccola ricerca nel sistema informatico della biblioteca comunale. Doveva andare a caccia di informazioni che riguardassero proprio la storia della cultura enologica in chiave femminile.
Sapevo che questa “mission” l’avrebbe divertita e infatti nel giro di poche ora era arrivata la sua email di reporting, puntuale e precisa come sempre. Portai il computer sul divano e aprii il suo messaggio: «Questo è quello che sono riuscita a scovare. Sono certa che lo troverai estremamente interessante. Ma a cosa ti servono queste informazioni? Ci vediamo domani a pranzo, così mi racconti. Solito posto alle 13, ti aspetto. Zoe». Aprii il file allegato e iniziai a leggere.
Erano tre pagine fitte di informazioni che, agli occhi della mia ignoranza in materia, risultavano sconvolgenti e, non avevo dub- bi, lo erano state anche per Zoe. Avrei voluto vedere la sua fac- cia mentre sfogliava quelle notizie storiche: ero certa che aveva sgranato gli occhi, le si era arricciato il naso nella sua smorfia ti- pica di disappunto, poi si era messa le mani tra i capelli per spet- tinarsi un po’ (lo faceva sempre quando qualcosa non le andava a genio) e quindi si era messa a trascrivere tutto, senza saltare una virgola, pignola com’è. «Brava Zoe», pensai, accennando un sorriso e scuotendo leggermente il capo ripensando ancora a quel giorno in cui, parecchi anni prima, davanti a una tazza di tè ci aveva chiesto di non chiamarla più Laura, il suo nome di battesimo che da sempre detestava. «Vorrei che mi chiamaste Zoe», ci aveva detto, come la protagonista del film Killing Zoe. Un nome certamente fuori dal comune, proprio come lei.
Guardai l’orologio: era passata da poco la mezzanotte. Presi il telefono e composi il numero di Luca, certa che, se fosse stato a dormire o impegnato in una serata romantica, lo avrei trovato staccato. Dopo due squilli sentii la sua voce.
«Ciao Cleo, non molli con le ore piccole».
«Nemmeno tu. Cosa stai facendo? Leggi o dipingi?», gli chiesi. «Stanotte dipingo, ma non sono molto soddisfatto del lavoro che sto facendo».
Da un paio di anni a Luca era venuto il pallino della pittura: dopo essersi letto un bel po’ di libri per approfondire tecniche e stili, aveva deciso che la forma espressiva che più gli si confaceva fosse il genere astratto, utilizzando l’olio e l’acrilico. Iniziò a imbrattare un po’ di tele e i risultati furono subito buoni. Il mio preferito era un quadro che aveva dipinto in una notte, rosso, con in mezzo una serie di linee color sabbia che sembravano graffi. Gli avevo chiesto più volte se lo potevo avere: nella mia nuova casa, appeso sopra il divano, sarebbe stato benissimo. Luca mi aveva sempre risposto di no, che quello era uno dei pochi quadri che avrebbe tenuto per sé e io non ne capivo il motivo: lo avevo visto separarsi da tele molto più belle e particolari di quella. Poi un giorno, senza alcun motivo, mi venne in mente di chiedergli il titolo di quel dipinto. «Cleo», mi rispose guardandomi dritto negli occhi. Per un attimo calò il silenzio, poi cambiammo argomento e non ne parlammo mai più.
«Allora, come mai mi chiami a quest’ora?», mi chiese.
«Ho già iniziato a pensare a quello che mi hai detto oggi e ho anche chiesto a Zoe di farmi una piccola ricerca sul rapporto tra donne e vino».
«Non pensavo di averti incuriosita così tanto». Aveva la voce un po’ roca e io sapevo che era perché stava fumando uno dei suoi sigari, magari accompagnato da un Bas Armagnac XO del 1976.
«Ti sottovaluti», gli risposi. «E comunque Zoe ha scovato del- le cose pazzesche. Tu lo sapevi che nell’antica Roma le donne non potevano bere vino?»
«Sì, ma vediamo cosa ha trovato la tua amica. Raccontami», incalzò il mio mentore enologico.
«Allora, una delle cose che mi sembrano più sconvolgenti è che i parenti più stretti di una donna potevano esercitare il di- ritto dello Ius Osculi, cioè il diritto di baciarla: non per affetto, ma per controllare il suo alito e provare se avesse bevuto vino».
«Eh già! A Roma, infatti, il vino alle donne era proibito sin dalle origini», precisò Luca.
>«Pazzesco, come il fatto che per chi infrangeva questa legge erano previste punizioni severissime: dalla bastonatura al ripudio, fino alla condanna a morte se la donna veniva scoperta ad aver assaggiato il vino oppure ad aver sottratto le chiavi della cantina in cui erano depositate le anfore. E sai perché? Perché per una donna bere vino equivaleva a concepire un adulterio e come tale veniva punito dalla legge», proseguii.
«Aspetta un attimo, voglio controllare una cosa», disse Luca. Lo sentii allontanarsi dal telefono e mettersi a rovistare nella sua enorme libreria, poi udii un tonfo: un libro doveva essergli cadu- to a terra. Un borbottio lontano, il rumore di pagine sfogliate e, dopo qualche minuto, tornò la sua voce. «Ecco qui. Nel secondo libro delle Antiquitates Romanae, Dionigi di Alicarnasso raccon- ta con stupore come Romolo avesse concesso ai mariti il diritto di punire con la morte la moglie che si fosse macchiata di adul- terio o che fosse stata sorpresa a bere vino. Ad esempio, un certo Egnazio Mecennio uccise la moglie a frustate per averla sorpresa a bere: una punizione che non fu motivo né di accusa né di bia- simo da parte della comunità. E un’altra sventurata matrona fu costretta dai parenti a morire d’inedia addirittura per il solo fatto di aver aperto la cassetta che conteneva le chiavi della cantina». «Ma non ti sembra una cosa incredibile? Eppure nell’antica Roma le donne godevano di tante libertà… Non capisco. Perché il vino era oggetto di punizioni così severe?», chiesi a Luca con un tono che era tra il divertito e l’arrabbiato.
«Perché, Cleo, i Romani ritenevano che il consumo del vino per le donne costituisse l’anticamera dell’adulterio. Valerio Mas- simo, in Detti e fatti memorabili, dice che l’uso del vino era sco- nosciuto alle donne romane per evitare che si lasciassero andare a qualche gesto indecoroso. Del resto, il vino ha una serie di effetti pericolosi, anche noi ne sappiamo qualcosa», sogghignò. Poi proseguì: «Anzitutto scioglie la lingua, conferendo a chi lo consuma un’eccessiva libertà di parola: un risultato particolarmente sgradito nelle donne, alle quali il codice comportamentale dell’epoca imponeva il silenzio e la riservatezza».
«Aspetta, anche Zoe ha trovato qualcosa in merito». Scorsi i fogli elettronici finché non trovai il passaggio che rammentavo. «Ecco qui. Pare che ritenessero che l’ubriachezza avesse il pote- re di accrescere la libido: ovviamente anche questo era un gran- de pericolo per la donna, a cui veniva attribuita una sessualità già di per sé ipertrofica e difficilmente controllabile».
«I Romani pensavano che il vino avesse effetti negativi anche sulle funzioni riproduttive delle donne», proseguii. «Se consu- mato durante il primo mese di gravidanza, pensavano potesse arrivare a procurare l’aborto, ma c’era chi sosteneva anche che provocasse sterilità, tant’è che il vino compare come ingrediente delle pozioni anticoncezionali». Quest’ultima cosa fece scoppia- re a ridere entrambi.
«Insomma Cleo, non avresti mai potuto sopravvivere a Roma, nell’antichità», disse ironico.
«Guarda che è colpa tua se mi sono appassionata al vino. Quando ci siamo conosciuti non sapevo praticamente cosa fos- se, a parte la Schiava che ogni tanto beveva mia madre», replicai. «Senti, ma allora cosa bevevamo noi donne?»
«Latte e una serie di bevande simili al vino, come i cosiddetti dulcia, i vini dolci nei quali l’ingrediente di base, il vino, veniva alterato dall’aggiunta di acqua e profumi».
«L’ennesima dimostrazione che gli uomini hanno sempre avu- to paura delle donne. E l’ennesimo conto in sospeso che abbiamo con voi», osservai sardonica.
«Non dire queste cose da femminista, ti prego, anche perché non lo sei. Comunque, mi sembra che tu e le tue amiche re diate onore alle vostre antenate romane recuperando il tempo perso…».
«Può essere», gli risposi ridendo. Senza che ce ne accorges- simo erano arrivate le due di notte. «Luca, è tardissimo, devo andare a dormire».
«Anch’io. Buonanotte Cleo».
Prima di addormentarmi feci un ultimo pensiero, scevro da qualsiasi contaminazione post femminista. Erano lontani i tempi dell’antica Roma, ma non quelli in cui le donne – quelle che ci tenevano a salvare la forma, ad avere una buona reputazione e a trovare marito – potevano frequentare solo i cosiddetti “bar bianchi”, quelli, cioè, dove non venivano servite bevande alcoli- che: erano gli anni Settanta.
Scartate il vostro terzo regalo
Leggete il nuovo episodio di Sex and the Wine il 22 dicembre 2017, ore 18.00
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