Patate da fighette e il funerale del Gusto

Mi ritengo fortunata a poter trovare ancora patate così come le vedete in questa foto. Patate vendute ancora con la terra sopra, turgide, sode, saporitissime. Patate sporche, che hanno ancora addosso il luogo da cui sono venute, la terra appunto. Niente a che vedere con le patate del supermercato o di molti fruttivendoli anche di lusso. Lì le patate sono tutte quasi della stessa grandezza, tutte belle lucide, pulitissime quasi fossero appena uscite da un istituto di bellezza, talmente perfette da sembrare “siliconate”. Patate da fighette, insomma, per le signore ingioiellate che non vogliono sporcarsi le mani a pulirle prima di sbucciarle e per questo rinunciano a tutto il resto. Alla tradizione, al territorio, alla poesia.

E non è un problema che riguarda solo le patate. Tutta la frutta e la verdura è stata, come dire, omologata. Le zucchine una volta avevano la buccia pelosa, ora non più. Non ve ne siete accorti? E facevano acqua quando le mettevate in griglia, così come le melanzane. Quelle di oggi, belle e impossibili da quanto sono finte, acqua non ne fanno nemmeno se le pregate in ginocchio.

I pomodori? A parte quelli del mio orto e quelli costoluti che compero dal fruttivendolo siciliano vicino a casa mia (o bergamasco contadino doc quando sono a Bergamo), il loro succo lo hanno dimenticato da qualche parte. E anche loro mi occhieggiano dal bancone espositivo del supermercato chiedendomi di rinunciare al gusto a favore del bell’aspetto.

La lista è lunga (vogliamo parlare di pesche, meloni, angurie, arance etc?) e il problema è uno solo. Perché per la fretta e la comodità abbiamo sacrificato i prodotti veri della terra?

Temo che questa sia una guerra persa, ma confido nel fatto che continueranno almeno ad esistere le due realtà: le patate (qui simbolo di tutta la loro categoria di ortaggi, ma anche della frutta) da fighette e quelle da donne vere. Se le seconde dovessero estinguersi, potremmo tranquillamente celebrare il funerale del Gusto.

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