L’amore ai tempi della vendemmia

Se dovessi dare un gusto all’estate, direi rosmarino.

L’estate per me è spezie e sale, passione e impulso, tentazioni e colori.

Ricordo che da piccola aspettavo l’estate con più emozione del Natale: era l’unico momento dell’anno in cui facevo un viaggio fuori regione – per i quindici giorni di vacanze al mare di Jesolo –, era la stagione della maggiore libertà, quella in cui di tanto in tanto riuscivo a sfuggire dagli occhi perennemente vigili di mia madre, erano le settimane senza scuola, delle scoperte e dell’attesa, del fiato sospeso quando incrociavi uno sguardo che ti faceva battere il cuore a mille.

Le mie estati da ragazzina erano fatte di tornei di tennis, di allenamenti sui campi di terra rossa, di odiati compiti delle vacanze, di sospirate giornate al lago e di sogni. Sognavo Jason Priestley di Beverly Hills 90210, Boris Becker, Eros Ramazzotti. Sognavo di diventare una scrittrice, e fantasticavo sul sapore che avrebbe avuto un bacio, perché ancora non ne avevo mai dato uno.

Siamo davvero tutti immortali fino al primo bacio e al secondo bicchiere di vino? Questa domanda mi ronza nella testa mentre sorseggio un Ferrari Perlé Bianco 2011, cremoso, suadente, fresco e caleidoscopico come probabilmente vorrei che fosse un bacio anche oggi che ne ho dati mille, e penso ai tempi in cui i baci si rubavano, non si rimandavano a settembre. Guardo il perlage finissimo di questo Perlé Bianco che danza nel mio bicchiere ipnotico, come un serpente a sonagli. In bocca è un tango, o forse una milonga, e lui che mi sta di fronte potrebbe ballare con me. Viene da un passato in cui avrei voluto aver conosciuto i suoi baci, ma non li ho mai saputi e non li saprò nemmeno oggi. Ci baciamo a settembre, adesso non c’è tempo.

Ho sentito bene? Ho sentito bene.

Maledetta letteratura. Invece che a un bel vaffa, mi viene da pensare a Orazio: “Dum loquimur fugerit invida aetas: carpe diem, quam minimum credula postero”, ovvero “mentre parliamo il tempo è già in fuga, come se provasse invidia di noi. Afferra la giornata sperando il meno possibile nel domani”… Lo guardo e a fianco a lui c’è il professor John Keating de L’Attimo fuggente che gli sussurra all’orecchio: “Carpe diem, cogliete l’attimo ragazzi, rendete straordinaria la vostra vita”. Basterebbe anche solo i prossimi 5 minuti, ma nulla. Renderemo straordinario settembre, dice.

Finisco la bottiglia, e sorrido. Non è passione ciò che puoi rimandare a domani. Non è un grande vino quello che resta nella bottiglia. E non ci sono più le estati di una volta. Punto sul mese della vendemmia, chissà che non si raccolgano frutti migliori…

E torna ancora la letteratura, stavolta quella del mio ultimo romanzo Tutta colpa di un Ruinart Rosé (se non lo avete ancora letto, lo potete comprare qui https://www.amazon.it/Tutta-colpa-Ruinart-Francesca-Negri/dp/8899557594) :

La squadra di vendemmiatori era già all’opera mentre Andrea spiegava ad Alessandra e Cleo come tagliare i grappoli e in che modo selezionarli. L’odore degli acini di Monastrell era inebriante, mentre il ticchettio delle forbici e il fruscio delle foglie davano vita a una sinfonia d’orchestra che cantava di gioia e fatica.

Alle due del mattino la temperatura era scesa notevolmente e il lavoro era a buon punto. Il profumo vinoso e persi- stente dell’uva ammostata stava riempiendo l’aria, sapeva di pesche sciroppate e di more di rovo appena colte.

Ad Andrea ogni vendemmia provocava lo stesso entusiasmo, la stessa euforia e le stesse preoccupazioni della prima volta, anche se ora sapeva come gestire le cose. Aveva fatto ormai venti vendemmie, venti primi baci a ogni estate.  

Andrea aveva osservato Cleo muoversi fra i filari di viti austere, leggera come una dea. Le fiaccole le tingevano i capelli d’intensi riflessi ramati e riuscivano ad accentuare i giochi di trasparenza della camicia impalpabile. Il tessuto di seta bianca di tanto in tanto si trasformava nelle pareti di pergamena di una lampada magica su cui si proiettavano le forme sinuose di Cleo, il profilo del seno a coppa di champagne, il ventre piatto, i fianchi morbidi.

Intorno alle tre Andrea l’aveva persa di vista e aveva iniziato a cercarla fra le vigne. Possibile che se la fosse squagliata così, senza nemmeno salutarlo? Una strana ansia gli stava accelerando il respiro, mentre dispensava sorrisi e pacche sulle spalle ai ragazzi della squadra. Con gli occhi frugava nel buio, fra le piante in cerca di lei, finché non la vide. Stava passeggiando nel punto più alto del vigneto, da dove avevano iniziato la vendemmia. Era anche il punto più panoramico, la luna era uno spicchio di arancia e illuminava il mare con una luce calda e intensa.

Si guardò intorno, tutto procedeva alla perfezione in una sincronia da alta orologeria svizzera, poteva anche prendersi una mezz’ora di pausa. Si allontanò dai vendemmiatori senza dare nell’occhio, dirigendosi verso la sommità della collina. Cleo se ne stava ad ammirare il paesaggio, con i gomiti poggiati su uno dei rami della vigna più vecchia di Pilar. La bellezza della natura le mozzava il fiato, Roberto, Paolo e tutte le indecisioni che l’avevano tormentata erano ombre lontane senza nessun potere di guastarle quel momento.

Andrea arrivò da dietro senza farsi sentire, mise le mani accanto ai suoi gomiti e fece una lieve pressione col torace contro la sua schiena. Lei capì subito e con un movimento da gatta gli strusciò addosso per girarsi e guardarlo, i suoi occhi tagliavano l’oscurità e lo fissavano beffardo.

«Cosa vuoi?» gli bisbigliò.

«Ora ti faccio vedere» Andrea si sentiva come il mosto ricavato da Pilar, pronto a innescare la reazione a catena di fenomeni chimici per una fermentazione dei sensi. Con la mano destra afferrò entrambi i polsi di lei, con la mano sinistra estrasse dalla tasca un rotolo di nastro per innesti. La spinse contro l’albero secolare e le legò le mani al palo che serviva per sostenere la pianta. Cleo non aveva tolto gli occhi dai suoi nemmeno per un istante e la sua espressione pareva sfidarlo a mostrarle fin dove avrebbe avuto il coraggio di arrivare.

… [continua]

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