Una bollicina di perlage rosè in Umbria. Ecco il carapace di Pomodoro per Ferrari

È uscita finalmente dal guscio e si è presentata ieri alla Triennale di Milano l’attesissima cantina-scultura a forma di carapace – ovvero il guscio della tartaruga – di Arnaldo Pomodoro. A ingaggiarlo è stato Gino Lunelli (oggi presidente onorario di Cantine Ferrari), legato a Pomodoro da un’amicizia trentennale. L’imponente opera dalla bellezza mozzafiato si trova in Umbria, a Bevagna, dove i Lunelli nel 2001 hanno acquistato una trentina di ettari vitati. La nuova realtà si chiama Tenuta Castelbuono ed è lì che Pomodoro ha avuto carta bianca per costruire quella che per il famoso scultore rappresenta il debutto – a 86 anni – nel mondo delle costruzioni: «Un’opera unica al mondo, che considero come un mio lascito, un omaggio – dice Gino Lunelli emozionandosi – per la chiusura della mia carriera lavorativa».

A prendere parte alla realizzazione dell’imponente tartaruga ci sono molte realtà trentine: in primis l’architetto Giorgio Pedrotti, che si è occupato di tutta la progettazione strutturale, fino ad arrivare alla fondamentale opera di lattoneria, curata dalla perginese Eurocoperture. Il carapace, infatti, si staglia, in cima a una collina vitata, per nove metri di altezza e un diametro di 38 metri per 28: una calotta la cui copertura è realizzata interamente in lastre di rame su cui Pomodoro ha lasciato i suoi segni creativi. Sostenuta da una centinatura di archi in legno lamellare, il carapace da fuori ammalia, ma internamente lascia senza fiato: da un grande arco centrale che assume il peso di una spina dorsale, si diramano come costole le serie dei mezzi archi laterali che intessono un ambiente che esprime forza e morbide suggestioni al contempo. Uno ziggurat, racchiuso all’interno di una scala elicoidale, funge da sala degustazione e tutto il resto della cantina trova sviluppo nella parte interrata. Di qui usciranno, quando la produzione sarà a pieno regime, circa 500mila bottiglie di Sagrantino di Montefalco e di Rosso di Montefalco, già lanciate sul mercato a partire dal 2003 e frutto di «un importante lavoro sui vigneti, ora in conversione al biologico, con nuovi impianti e la valorizzazione di quelli esistenti tramite una selezione dei cloni condotta con l’Istituto agrario di San Michele all’Adige», fa sapere Marcello Lunelli, presidente di Tenuta Castelbuono, che ieri ha affidato ufficialmente la gestione dell’azienda umbra al cugino Alessandro, figlio  minore dell’enologo Mauro.

Vietato sapere il costo della realizzazione, «perché degli sfizi e delle opere d’arte non si guarda mai al prezzo», ma si parla di cifre che vanno ben oltre i 5 milioni di euro. D’opera d’arte, a tutti gli effetti, si tratta ed è la prima al mondo dove «si vive e si lavora»: per questo anche le istituzioni di Montefalco – presenti ieri a Milano – prevedono che a visitare la nuova cantina accorreranno da tutto il mondo. Perché un investimento del genere in Umbria? «C’era voglia di fare nuove esperienze d’eccellenza, ma non solo. La viticoltura trentina è eroica perché di montagna: la stessa tenacia ci vuole per coltivare un vitigno ostico come il Sagrantino», spiega l’ad di Ferrari, Guido Pianaroli. Forse per questo la cantina di Pomodoro assomiglia a una tartaruga (che richiama i ritmi lenti della natura e del vino), a un astronave (per le nuove conquiste?)  a un sole che sorge (per le nuove sfide?). E a una bollicina di perlage rosè, per non dimenticare il legame indissolubile che da oggi lega il Trentino all’Umbria – disegnando possibili nuove vie per l’enoturismo – e che si potrà toccare con mano il 16 giugno, giorno dell’apertura ufficiale del carapace di Tenuta Castelbuono al grande pubblico mondiale.

(mio articolo apparso oggi sul Corriere del Trentino)

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