Lo avevo già anticipato qualche giorno fa in uno dei miei ultimi articoli pre ferie sul Corriere del Trentino e ora, nonostante i grossi problemi di connessioni internet che ci sono qui a Formentera, riesco a sfogliare L’Adige (noi del Corriere non abbiamo ancora il nostro sito 🙁 ) e ad apprendere che quanto avevo pubblicato in merito a un ritorno in auge della proposta di far diventare Cavit una commerciale con forma giuridica Spa era fondata.
Riporto qui l’articolo dell’Adige e torno a tuffarmi nelle acque cristalline ;). Su tutte le perplessità che forse si possono esprimere punto per punto, ricordo solo la mia intervista a Roberto Cipresso che trovate qui, nella quale il winemaker di fama internazionale esprimeva l’idea di non ritenere commercialmente interessante l’idea di marchi ecosostenibili, ma che la vera chiave è saper raccontare la storia di un vino…
Cavit deve impegnarsi a «liberare» e aiutare alcune cantine socie, in particolare Isera, Toblino, Mori, Mezzolombardo, ad avviare progetti di produzione «territoriale» e sostenibile insieme ai vignaioli. Per gestire questo raggruppamento serve una nuova società di commercializzazione, che potrebbe nascere dalla stessa Cavit, separando la promozione del vino territoriale da quella del vino industriale. Questo il «passo importante», come lo ha definito l’assessore all’agricoltura Tiziano Mellarini , il «fulcro», secondo il professor Attilio Scienza , dell’atteso piano dei quattro «saggi» – Scienza, Enrico Paternoster , Emilio Pedron e Fabio Piccoli – sulla vitivinicoltura trentina, approvato ieri dalla giunta provinciale. «Partiamo – spiega Mellarini – dai precedenti della Fondazione Mach e del piano Pedron. C’è la necessità di una forte distinzione tra le produzioni industriali, in capo alle cooperative, e il prodotto territoriale. Puntiamo alla riconoscibilità del vino trentino da parte dei consumatori. Proponiamo che una parte del mondo coop avvii un percorso per valorizzare l’identità vitivinicola trentina. Chiamiamo Cavit ad una forte responsabilità». Il presidente Lorenzo Dellai puntualizza: «Questo documento è la nostra politica». I 30 milioni di euro stanziati da Piazza Dante per il settore sono collegati a questo riassetto. Secondo Scienza «Cavit e la cooperazione hanno dato un contributo decisivo alla crescita del settore, ma ora il ruolo delle coop va ricollocato».
Quattro sono gli assi della proposta: organizzativo, per arrivare ad una collaborazione tra cooperative e vignaioli al posto dell’attuale contrapposizione e costituire il primo Comitato interprofessionale d’Italia, formativo, con il ruolo decisivo di San Michele, produttivo e «verde», con l’iniziativa dell’aggregazione cantine-produttori, della nuova società e del nuovo marchio ecosostenibile, tecnico, con la nuova zonazione che definisca macrozone di produzione e eviti «il cannibalismo sui prezzi». Scienza propone di passare dal pagamento a quintale al pagamento ad ettaro. Il documento spiega che l’iniziativa del brand territoriale dovrebbe coinvolgere quelle cantine socie di Cavit situate nelle aree più vocate della provincia, riducendo la «massa industriale» e aumentando la «massa critica di vini trentini di alta qualità», in linea con quanto avviene in Alto Adige. Poi si propone la costruzione di un brand trentino di produzioni enologiche sostenibili, sia dal punto di vista ambientale che paesaggistico, l’individuazione di prodotti testimonial dell’identità trentina (troppe 20 etichette per azienda), la costituzione di un Ufficio di coordinamento della promozione dei vini trentini, compresa la grappa, che riunisca in un’unica entità gli esperti di Trentino Marketing e Camera di commercio e il Consorzio di tutela, l’aumento delle attività di internazionalizzazione delle imprese in collegamento con Provincia, Trentino Sprint e Ufficio di coordinamento, la costituzione del Consiglio interprofessionale della filiera, con un osservatorio prezzi permanente, l’incentivazione di associazioni di prodotto come l’Istituto del Trentodoc, i percorsi formativi su marketing e gestione aziendale, la promozione sul mercato locale, anche in collaborazione con albergatori e Sait.
I quattro assi saranno approfonditi da altrettanti gruppi di lavoro coordinati da Piccoli, che comprenderanno operatori e produttori. Si apre la fase del confronto. Scienza afferma che negli incontri già avuti con presidente, direttore e tecnici Cavit è emersa una disponibilità alla collaborazione. «Certo, siamo disponibili come sempre – dice il presidente Cavit Adriano Orsi – Stiamo facendo dei ragionamenti con i nostro soci. E riteniamo i vignaioli componenti importanti del settore. Ma prima di una valutazione complessiva dobbiamo esaminare attentamente il documento».
Aggiungo le repliche di oggi, sempre su L’Adige, articolo di Angelo Conte. Promuovere con il marchio Trentino i prodotti che sono tipici del territorio e che hanno un valore sul mercato elevato e riconoscibile, distinguendo tra la produzione industriale e quella invece più vicina al territorio è la strada giusta. A promuovere il piano vino presentato venerdì dalla giunta provinciale sono le associazioni di Vignaioli e Vitivinicoli. Questi ultimi chiedono,poi, per il futuro di evitare di abbinare il nome Trentino a prodotti che arrivano a costare molto poco sugli scaffali di catene come Lidl o Aldi. «Per quel tipo di prodotti industriali che svolgono una funzione che va riconosciuta – afferma Paolo Endrici presidente dell’associazione dei Vitivinicoli che fa capo all’Unione commercio – si può pensare a nomi di fantasia che non si rifanno al nome del territorio. Non è possibile aumentare il valore della riconoscibilità del vino trentino vendendolo a meno di tre euro al litro». A confermare le parole di Endrici una delle ultime offerte pubblicizzate sul proprio sito Internet da Aldi Süd che evidenzia un’etichetta a 1,99 euro a bottiglia, pari a 2,65 euro al litro (si tratta di un Merlot Mario Collina Trentino Doc). Va detto che il prezzo al consumatore non viene deciso dal produttore, ma dalla catena stessa. Il risultato però, spiega Endrici, è quello di abbinare il nome del territorio a prodotti di basso prezzo e quindi di non valorizzare il marchio. Nessuna intenzione di fare polemica con chi ha scelto di affiancare alle produzioni tipiche e di maggior livello anche prodotti acquistati altrove e poi rivenduti sui mercati italiani e esteri per aumentare volumi e margini (come fa una parte della cooperazione). Ma anche la volontà di assicurare il marchio Trentino a prodotti di qualità e prezzo superiore in modo da avere, sul lungo periodo, meno produzione in complesso con bottiglie vendute a maggior prezzo. «La strada è quella di arrivare a fare meno vino e a venderlo a prezzi superiori. Secondo me, in questo modo, si potranno remunerare i contadini così come accade oggi». La strada è quella di realizzare prodotti sempre migliori basandosi su vini del territorio. Un esempio viene dal Teroldego. «Con una produzione del genere al Vinitaly abbiamo battuto anche il Brunello di Montalcino – chiarisce Endrici – Ciò significa che il vino trentino ha delle grosse potenzialità. Purtroppo, siccome oggi il nome Trentino non è sinonimo immediato di qualità, ecco che molti produttori, di alto livello, preferiscono non usarlo in etichetta». Il riferimento è ad alcuni vignaioli che, pur con prodotti di ottima fattura, si affidano sulla bottiglia a nomi di fantasia senza riferimento al territorio consentiti dai disciplinari Igt. Il presidente dei Vignaioli Nicola Balter, intanto, chiarisce che da parte loro, in attesa di ricevere il piano vino e leggerlo nei dettagli, «la strada della distinzione tra vino industriale e tipico è corretta. Giusto promuovere il nome Trentino per i vini che sono del territorio e non, come il Prosecco, quelli che sono importati da fuori». Da parte sua i rappresentanti della Cooperazione per ora si limitano a non rispondere o a no comment cortesi ma fermi. «Aspettiamo il piano con serena attesa» spiega Claudio Rizzoli, ad di Nosio spa. Prima di esprimersi, chiarisce Elvio Fronza, presidente del Consorzio vini del Trentino, serve che abbia il testo in mano.