L’ultima notte al mondo io la passerei con te, canta il grande, grandissimo Tiziano Ferro.E se fosse una bottiglia quella da scegliere per la vostra ultima notte al mondo? L’ultima, sporca, maledettissima goccia di nettare di Bacco che vorreste assaporare prima di salutare tutti e andare a fare danni in altre dimensioni.
Una domanda simile, qualche anno fa, l’aveva sposta il libro americano The last super, che interrogava chef di tutto il mondo su quale avrebbero voluto fossero le pietanze della loro ultima cena. In molti avevano sorpreso per la disarmante semplicità delle loro richieste, loro che magari, per i loro ospiti, avevano passato una vita a sferificare, scomporre e ricomporre in creazioni celebrali qualsiasi tipo di materia prima.
Non è lo stesso con il vino. Da chi lo produce a chi lo consuma, come ultimo vino della vita sceglierebbero qualcosa di grande, costoso se non costosissimo (tanto il conto non si farebbe in tempo a pagarlo), per lo più francese e sicuramente legato a un momento speciale, a un’emozione indimenticabile.
Il re del Gewürztraminer Martin Foradori di Cantina Hoffstätter non ha un attimo di esitazione, il suo ultimo vino sarà del Domaine Armand Rousseau, uno Chambertin 1996 ( 1.500 euro circa): «Ci sono pochi vini che sorseggiandoli mi hanno fatto venire la pelle d’oca e questo è uno di quelli. Da molti anni ho una cara amica, oggi ultra ottantenne, alla quale devo molte delle mie conoscenza della Borgogna. Lei frequenta da oltre 60 anni la Borgogna e non c’é vignaiolo di spicco che non conosce personalmente. Merito suo se ho scoperto questo Cote de Nuits, che già al naso fa capire che è speciale. Fresco, sentore di piccoli frutti di bosco, aria di bosco. Al palato poi un esplosione di forza ed eleganza. Indescrivibile! Un vino che mia fatto non solo venire la pelle d’oca, ma addirittura mi sono chinato di fronte a un capolavoro del genere». Non ci credete? Qui sotto la foto-testimonianza.
Ignazio Moser, 25enne figlio del campione di ciclismo Francesco che si destreggia tra le due ruote e le attività della cantina di famiglia (nella foto in alto, in apertura, e qui sopra assieme ai fratelli), sceglie uno dei grandi metodo classico italiani (80 euro circa): «Direi un Giulio Ferrari, perche fu il primo spumante “pregiato” che bevvi quando frequentavo la prima superiore dell’Istituto agrario di San Michele all’Adige e pensai che un giorno sarebbe piaciuto anche a me produrre un vino cosí».
Anche Federica Schir, PR e sommelier di importanti realtà vinicole, sceglie le bollicine, ma per lei sono francesi e si chiamano Dom Perignon (da 150 euro in su): «La scelta può sembrare banale ma per me ha un significato ben preciso che risale ai tempi in cui non avevo ancora iniziato a lavorare a tempo pieno in questo settore. Non avevo mai assaggiato champagne di grande livello e volevo qualcosa di particolare per salutare un amico che finiva la “naja” a Merano (dove vivevo prima di trasferirmi a Verona) e scelsi un Dom Perignon. Mi ricordo ancora di aver avuto l’impressione di non aver mai assaggiato qualcosa di simile. Eleganza, sapidità, tutte cose che avrei imparato poi con il tempo e che in quel momento mi hanno stregato. Sicuramente il contesto, la persona con cui l’ho assaggiato, la novità hanno fatto la loro parte, ma il Dom Perignon è e resterà sempre il “mio vino”, quello che non è mai mancato nei festeggiamenti importanti e sempre almeno una bottiglia per Capodanno. Il più delle volte però lo bevo fuori dai festeggiamenti ufficiali, magari aperta con cibo semplice, a casa seduti per terra in salotto…».
La giornalista di Vanity Fair Anna Mazzotti fa ricadere la scelta su un’altra grande maison del gruppo LVMH, Krug: «Stapperei un vintage 1998, perché mi piace e perché spero di portarmelo nell’aldilà. E poi se il mio epitaffio sarà: “svegliatemi per l’aperitivo” ritengo che una bolla sia perfetta. Altrimenti la scelta poteva ricadere anche su un buon rosso, come ad esempio il Tignanello». Krug 1998 costa circa 270 euro.
Sommelier, titolare della vineria Al 10 di Arezzo e dell’azienda Doná dei Monti, con Francesco Santini ho condiviso tante bottiglie, fiorentine e tartufi nel periodo in cui ho vissuto in quelle zone: «Clos Rougeard, azienda pionerisyica del biodinamico. La visita che feci a questa cantina è stata fondamentale, una vera e propria epifania, ha cambiato per sempre il mio concetto di vino, i fratelli Focault erano due orsi, la cantina difficilissima da visitare, un anno fa è morto uno dei due, qualche giorno fa l’annuncio della vendita dell’azienda. Ho venduto tutte le loro introvabili bottiglie che presi da loro, tranne una, quella singola bottiglia è la bottiglia che vorrei bere ber ultima, come omaggio a questo grandissimi vignaioli che oggi non potranno più replicare le loro opere d’arte ( quasi mai parlo di vino come opera d’arte, di solito accosto il vino ad artigianato, ma in questo caso arte è la parola giusta)».
Lui, anche se non credi negli oroscopi, non pui non leggerlo. Antonio Capitani è il più sagace, irriverente e divertente astrologo di casa nostra, che a colpi di “sudombelico” e di “do not scler” impartisce le dritte delle stelle dalle colonne di Vanity Fair e della Gazzetta dello sport. Il vino con cui trascorrerebbe la sua ultima notte al mondo? «Scelgo in Brunello di Montalcino, qualsiasi etichetta va bene, perché fu proprio a una cena con menu toscano, annaffiato da tanto Brunello e organizzata a Milano a metà anni ’80, che cominciò involontariamente la mia carriera di astrologo. Non conoscevo nessuno a quella cena, solo l’amica che mi aveva portato con sé, la quale, a un certo punto della cena, rivelò a tutti che mi interessavo di astrologia (all’epoca lavoravo però come copywriter in un’agenzia di pubblicità). Io mi sentii molto in imbarazzo, ma la padrona di casa, nel sentire la notizia, drizzò le orecchie e sbarrò gli occhi: era una redattrice di Dolly, giornalino Mondadori per le teenager (ve lo ricordate?!, io sì…, ndr). Mi chiese subito se volevo scrivere per il suo giornale una serie di ritrattini astrologici dei cantanti che erano in voga all’epoca fra le ragazzine (George Michael, Tina Turner, Julian Lennon, Michael Jackson, ecc.). Accettai. E da lì arrivarono poi tutte le altre collaborazioni giornalistiche che negli anni mi hanno portato a Vanity Fair e alla Gazzetta dello sport. W il Brunello, dunque, che mi piace pure perché è buono, è toscano come me, è il re dei rossi».
La neo mamma e sommelier Sylvie Franceschini di Trento sceglie un vino che ormai non è poi in commercio: «Alsace Tokay Pinot Gris “Hugel” 1983 – Hugel. Mi ricorda un periodo bellissimo della mia vita, andavo tutte le settimane a Merano per studiare i vini francesi,bevevo benissimo. Al termine del corso abbiamo fatto una cena a casa mia e questo fu il migliore dei vini portati.Non ho mai più bevuto un vino con una freschezza e un’intensità del genere». Il 1983 è introvabile, l'”Hommage a Jean Hugel” costa 70 euro.
Ci va “pesante” anche il sommelier Luca Bergamin, che sceglierebbe un Romanèe Conti Echezeaux 2002 (1.200 euro), si cui ricorda giorno luogo e ora della prima bottiglia che ha bevuto: «Indelebile nella mia mente quel 16 dicembre 2010 presso il ristorante Sasseo di Santa Maria della Versa. Stappammo la bottiglia numero bottiglia numero 12968. Vorrei che fosse l’ultimo vino che berrò per tre ragioni: anzitutto è stata la mia prima bottiglia del Domanine più importante di Borgogna; in secondo luogo perché è stata una bottiglia che ci siamo guadagnati dedicando molto tempo libero a guidare la delegazione Ais di Pavia e la promessa dell’allora Delegato Filippo Zaffarana che alla fine di questa avventura ci saremo concessi una cena potendo degustare un grande vino. La terza ragione, quella più importante per me sommelier, è stata l’emozione degustativa che ho avuto; già appena aperta la bottiglia e messa in un decanter a ossigenare la sala da pranzo era pervasa di profumi che mai dimenticherò, mai davvero».
Una delle ambasciatrici dello Champagne in Italia, Claudia Bondi, sommelier e pr, va sul più grande dei vini dolci del mondo: «Nessun dubbio, per l’ultimo bicchiere su questa terra sceglierei Chateau d’Yquem! Amo la zona di Bordeaux, che mi ha stregato definitivamente nel 2012, quando fu meta di un viaggio che porto sempre nel cuore. E questo vino rappresenta una magia che ai miei occhi si rinnova ogni volta, un susseguirsi di sensazioni forti e dolci, opposte soltanto in apparenza. Già solo a parlarne ne percepisco i profumi e immagino già ad un bicchiere, perfetto in gioventù ma pronto per sfidare il tempo come forse nessun altro. Per il vero relax o, a una temperatura più bassa, come aperitivo».
Petrus e Romanèe Conti (dal 1945 in su, non occorre che vi dica quanto costano, vero?) sono i più scelti anche dal grande pubblico, da quei wine lover che per tutta la vita hanno considerato un calice di vino come un gioiello, un privilegio, un momento catartico. E così l’ultima scelta cade su due grandi, grandissimi (e costosissimi) rossi francesi. A seguire, Chateau Haut Brion 1982, Chateau Lafite, Pennfold’s Grange 1990, Cheval Blanc, Salon 2002, Port Ellen 35 y.o. 1979-2014 Director’s Cut di Douglas Laing, ma anche Barolo Mascarello 1997 o Gaja, Sassicaia, Sagrantino Caprai 25 anni, Lutzmannsburg Alte Reben 2009 Moric e via così, una lunga lista di vini mitici, oggetto del desiderio (spesso mai “consumato”) di qualsiasi appassionato.
E il vostro ultimo vino, quale sarebbe?