Persino il pediatra si è raccomandato: «Mi raccomando, signora, la scelta del nome del bambino è importante, è vero che influenza la personalità…». Così, il parto del nome di Leonardo James, il mio piccolo gourmet di un anno, è stato ancora più travagliato. Ma se il nome è così importante per le persone, se lo è per le merendine del Mulino Bianco e per le automobili, che spendono milioni in indagini di marketing, perché non dovrebbe essere importante anche per il vino?
Al di lá del marchio, se voi doveste scegliere solo per il nome, preferireste bere un vino che si chiama (nomi di fantasia, anche se il primo, se cercate bene, c’è davvero in circolazione, purtroppo) Terre Calcaree o Dune Mosse?
Se poi questo vino è un metodo champenoise a mio avviso il nome conta ancora di più.
Molti, troppi vini buoni sono penalizzati da nomi orribili, scelti probabilmente da vignaioli schietti, che non vogliono filtri e del marketing se ne infischiano, sbagliando.
Hai ma bevuto questo Terre Calcaree?
Ammettiamolo, questa frase può sopportarla un addetto ai lavori, comunque sicuramente trovandoci zero appeal. Se la dicessi a mia madre mi chiederebbe cosa ho bevuto io…
È da poco uscito un libro interessante: “99 Bottles of Wine: The Making of Contemporary Wine Label” dello statunitense David Schuemann dell’agenzia CF Napa Valley. L’autore sostiene che “Alcune nostre ricerche sui consumatori hanno dimostrato che lo stesso vino, versato da bottiglie con etichette diverse, dà diversi risultati. Migliore è l’etichetta, migliore sembra il gusto del vino all’interno”. Con etichette si intende grafica ma anche, naturalmente, nome del vino con cui gli elementi grafici si fondono.
D’altra parte, la degustazione del vino (o del buon cibo) non è solo gusto: riguarda l’olfatto, il tatto, la vista, persino il suono. Per non parlare di aspettative, ricordi, esperienza, cultura personale.
Una breve considerazione su un argomento di cui si potrebbe parlare per ore.
Voi cosa ne pensate?