L’amaro nella mixology

Rappresenta uno dei riti, indiscussi e imprescindibili, della bevuta italica. Parliamo dell’ammazzacaffè, o meglio ancora di un particolare tipo di chiusura di un pranzo o di una cena: l’amaro. Se prendiamo per vera e assodata questa antica usanza nazionalpopolare oggi, nel 2024, l’utilizzo di questo spirits tipico del made in Italy non può, però, essere più e solo relegato a forma di “digestivo”. È ben altro. Liscio, ghiacciato o addirittura come ingrediente fondamentale per l’arte della mixology, questa storica forma di liquore che vede tra gli ingredienti fondamentali una macedonia di botaniche selezionate, sta da tempo attraversando un nuovo Rinascimento. La fantasia, la voglia di sperimentare e soprattutto la capacità creativa dei maestri distillatori e liquoristi si sta sbizzarrendo. Ottenendo importanti risultati in termini di vendite e apprezzamento dal pubblico. Lo attestano le performance del mercato che negli ultimi anni hanno sempre ottenuto una crescita a due cifre percentuali. Un motivo ci sarà… No?

Dai monasteri alle tavole

Dalle erbe delle montagne friulane o alpine in generale, alle tipiche icone della macchia mediterranea, arrivando addirittura all’utilizzo di droghe e selezioni di qualsiasi parte del globo, la natura permette di poter utilizzare un infinito patrimonio organolettico e gustativo di variabili e variazioni sul tema spirits. Dagli erbari della farmacopea, soprattutto relegata nella quotidianità monastica, a modelli vincenti di produzione industrial-artigianale, di strada, gli amari, ne han fatta tanta. Basti pensare che, il primo cocktail creato attraverso l’utilizzo degli amari risale a oltre un secolo fa, e sembra sia stato inventato da una donna. Si tratta dell’Hanky Panky a base di amaro e composto da gin, vermouth e Fernet. Il tutto uscito dalla visione anticipatorie, siamo nel 1903, di Ada Coleman, prima barlady che ha lavorato per oltre vent’anni nello storico Hotel Savoy a Londra. L’hanno fatta, di strada, oggi gli amari, facendosi largo attraverso un confronto, anche se non sempre paritario, con mostri sacri chiamati vodka, gin, rum, ma comunque diventando i veri protagonisti di cocktail aromatici e per certi tratti veramente pungenti e affascinanti. Una recente e nostro malgrado accelerazione è arrivata con il biennio della pandemia in cui l’arte della mixology si è fatta delivery e self made. Le persone a casa, o direttamente o facendosi inviare cocktail già pronti, hanno riscoperto questa comunione forse un po’ troppo passata in sordina negli anni precedenti. Senza contare poi l’exploit avuto nel cosiddetto food pairing. L’amaro, soprattutto miscelato, è così diventato e sta sempre di più diventando un degno e apprezzato compagno durante, e non più solo dopo, il pasto.

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