Come ripartire e su quali basi, è il quesito centrale che sta tenendo banco durante la quinta edizione del Forum “La Roadmap del futuro per il Food&Beverage” promosso da The European House – Ambrosetti appena concluso a Bormio. Focus quindi sul Food&Beverage, comparto vitale per un Paese, l’Italia, capace di generare oltre 64 miliardi di euro di valore aggiunto. Per intenderci, tre volte rispetto all’automotive di Francia e Spagna e più del doppio della somma dell’aerospazio di Francia, Germania e Regno Unito, ma soprattutto un settore che ha saputo reggere meglio di chiunque altro il duro impatto della pandemia, riportando nel difficile 2020 una flessione tutto sommato contenuta nel valore aggiunto (-1,8%).
Ad aprireil Forum di Bormio Valerio De Molli, Managing Partner e Amministratore Delegato di The European House – Ambrosetti, con la presentazione dell’approfondito Rapporto “La Roadmap del futuro per il Food&Beverage” di cui riassumiamo i principali argomenti trattati.
La crisi dell’Horeca e l’ascesa del delivery
Con l’obiettivo di approfondire l’impatto del Covid-19 e delineare le linee guida per una ripartenza post-pandemica, The European House – Ambrosetti ha condotto una survey online diretta ai vertici manageriali e imprenditoriali di una selezione di imprese (un insieme di realtà che congiuntamente fattura 20 miliardi di euro all’anno). Dalla ricerca sono emersi indicatori strategici sul futuro del comparto agroalimentare, nonché un sentiment che lascia ben sperare se si guarda avanti.
Innanzitutto, lo studio ha mostrato che il Covid, nel 2020, non si è fatto sentire negativamente sul fatturato di ben sette aziende su dieci, che hanno dimostrato di avere registrato un aumento del proprio giro di affari mentre oltre la metà ha mostrato ottimismo dichiarandosi fiducioso sulla possibilità di crescere anche nel 2021. I dati hanno poi evidenziato come la situazione a livello di canale sia profondamente cambiata: se la GDO ha segnato un rialzo del 2,2%, l’Horeca al contrario ha subito una pesante contrazione pari al 36,5%, tornando ai livelli del 2002. Da segnalare poi la rinata vitalità dei negozi di prossimità, che hanno usufruito dei vari lockdown per riposizionarsi e incrementare la propria quota di mercato al 18,9%.
Sul fronte e-commerce, lo scorso anno le vendite sul web del settore food&grocery hanno contato solo per l’1,7% del totale acquisti, ma con una crescita nel 2020 del 56%. Complice le chiusure degli esercenti del fuori casa, il food delivery ha generato un valore pari a 706 milioni di euro, con l’obiettivo quest’anno di compiere un ennesimo balzo in avanti e registrare un giro di affari di 1 miliardo di euro. Da notare che il servizio di delivery ha raggiunto il 100% nei Comuni con almeno 50 mila abitanti e che i pagamenti sette volte su dieci sono stati effettuati con modalità cashless.
Export vaccinato contro il Covid, ma permane gap da altri paesi
Capitolo export. Il quadro generale delle vendite oltreconfine è stato positivo e il valore record di 46,1 miliardi di euro è risultato in crescita dell’1,8% rispetto al 2019. Inoltre, per la prima volta negli ultimi dieci anni, la bilancia commerciale italiana è risultata avere un saldo positivo pari a 3,1 miliardi di euro.
Il Rapporto ha comunque nuovamente richiamato l’attenzione sul gap che l’Italia sconta come export nei confronti di altri paesi europei. Un dato che sorprende ulteriormente se si pensa che il nostro Paese conta più ristoranti di cucina nazionale nelle principali metropoli mondiali. E dunque, nonostante il Bel Paese nel decennio 2010-2020 sia cresciuto a valore più degli altri, segnando un incremento medio annuale del 5,2%, l’incidenza delle vendite fuori confine del settore agroalimentare ha inciso nel 2020 solo per l’11% sul dato totale, contro il 20% della Spagna e il 15% della Francia. Significativo il fatto che un mercato strategico come quello cinese non sia ancora tra i primi dieci destinatari di prodotti agroalimentari italiani, al contrario di ciò che succede per altri paesi dove il Paese del Dragone è tra i principali approdi a livello internazionale. Richiamando l’attenzione sulle esportazioni, si è nuovamente affrontato il tema dell’Italian Sounding (stimato a un valore di 100 miliardi di euro), una piaga dolorosa che ferisce le vendite di prodotti nostrani all’estero e nei confronti della quale è sempre più necessario trovare un rimedio e investire con azioni concrete e risolutorie. In quest’ottica, utile sapere che l’Italia risulta essere la prima destinazione enogastronomica al mondo. Come dire: si apprezzano le squisitezze alimentari visitando la nostra Penisola, per poi tornare in patria e accorgersi che gli stessi prodotti vengono replicati facendo leva su materie prime non italiane e usando nomi ‘civetta’ che richiamano al Made in Italy.
Un pericolo chiamato Brexit
Nel Rapporto si è anche esaminata la questione Brexit, sulla quale gravano incognite e timori. Con una quota del 12% sul totale, il Regno Unito risulta uno dei mercati prioritari per l’export di prodotti alimentari italiani.
I primi dati sono però preoccupanti: nel mese di gennaio e di febbraio 2021 le esportazioni sono risultate in calo del 15% rispetto allo stesso periodo del 2020.
La salute vien mangiando e facendo sport
Al Forum di Bormio occhi puntati poi sul rapporto salute e cibo. Sullo sfondo, emergono dati che inquadrano il nostro Paese in una dimensione sulla quale appare stringente intervenire per migliorare alcune dinamiche critiche. Per esempio, basti sapere che un italiano su tre conduce una vita sedentaria, mentre il 45,5% risulta sovrappeso, con una quota di bambini delle scuole primarie, pari al 29,7%, risultata in condizione di eccesso ponderale (il 9,4% è obeso).
Consapevolezza dunque, ma anche necessità di mettere in pratica le indicazioni e dare il buon esempio: il Forum si chiuderà non a caso, domenica 6 giugno, con una gara ciclistica non competitiva che attraverserà luoghi suggestivi intorno a Bormio, una delle località simbolo della Valtellina, “sfidando” i campioni delle due ruote Ivan Basso e Alberto Contador che intervengono sabato anche al Forum con la loro testimonianza insieme a Francesco Gavazzi e Deborah Compagnoni.
La Farm to Fork per sostenibilità e sicurezza alimentare
Su sostenibilità e sicurezza alimentare, i due pilastri del progetto europeo Farm To Fork, il 76,5% delle aziende intervistate nella survey condotta da The European House – Ambrosetti in vista del Forum ha riconosciuto che questa strategia servirà a rendere le filiere agroalimentari più resilienti e sostenibili. Da aggiungere che l’Italia è tra i top 5 Paesi UE per il raggiungimento, entro il 2030, di una quota pari al 25% dell’intera superficie agricola da dedicare completamente alla coltivazione biologica (oggi al 15,2%).
“Il tutto sarà reso possibile – afferma Valerio De Molli – se congiuntamente si svilupperanno azioni di miglioramento attraverso interventi correttivi, tra cui la richiesta di una maggiore defiscalizzazione per le realtà che investono, un’accelerazione dei processi di digitalizzazione delle filiere stesse per combattere lo spreco alimentare, ma anche l’opportunità di focalizzare la produzione su confezioni a minore impatto ambientale”.
In quest’analisi, molte aspettative sono state poste sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr), che prevede lo stanziamento di 5,46 miliardi di euro destinati allo sviluppo di una filiera agroalimentare sostenibile e di progetti di economia circolare. Una cifra sostanziosa che dovrà essere impiegata per finanziare progetti che ruoteranno su diversi ambiti, dalla logistica ai contratti di filiera, dall’innovazione e meccanizzazione fino all’implementazione su vasta scala di pannelli fotovoltaici. E parlando di attività innovative, le aziende hanno sottolineato l’importanza di puntare su prodotti per i quali tracciabilità, sicurezza, sostenibilità e diete sane sono i cardini di una strategia vincente. Uno scenario che, però, come è emerso dalla survey di The European House – Ambrosetti, deve anche prendere in considerazione la natura stessa del settore Food&Beverage. Un ambito che risulta ancora troppo frammentato, composto per l’89,5% da imprese che generano un fatturato annuale inferiore ai 10 milioni di euro e contribuiscono ai ricavi per una quota del 15,2%, a differenza delle grandi imprese (con un giro di affari superiore ai 50 milioni di euro) che, pur essendo solo il 2,6% delle realtà complessive, contribuiscono da sole a generare circa il 60% dei ricavi totali del settore. La dimensione ridotta, sostiene lo studio, ritarda e crea più resistenze a investire.
Le 8 regole per aumentare la competitività del settore secondo The European House – Ambrosetti:
1) Sburocratizzare per sbloccare investimenti
2) Rafforzare la dimensione media delle imprese per renderle più competitive a livello internazionale
3) Valorizzare le filiere nazionali e locali per dare più valore al Made in Italy
4) Combattere l’Italian Sounding e promuovere le eccellenze nazionali
5) Creare un ‘sistema Italia’ per gestire i regolamenti UE che potrebbero risultare penalizzanti
6) Maggiore collaborazione con i retailer per favorire managerializzazione e più efficaci strategie di branding
7) Adottare politiche di sostegno per rilanciare l’Horeca
8) Finanziare campagne di sensibilizzazione a favore di stili di vita corretti grazie a sport e sana alimentazione
Un modello chiamato Valtellina
Una delle regole auree per migliorare, in qualsiasi settore, è seguire gli esempi più virtuosi: da qui la scelta di The European House – Ambrosetti di ospitare il proprio Forum a Bormio, cuore della Valtellina, territorio della provincia di Sondrio che ha fatto del legame virtuoso tra ambiente, enogastronomia e turismo il fattore chiave di crescita “felice” e che si candida a diventare un modello per l’agroalimentare italiano di domani.
Questo angolo della Lombardia, famoso per le sue montagne e i suoi gioielli turistici e scelto non a caso per ospitare alcune tra le più importanti gare delle prossime Olimpiadi invernali del 2026, “nasconde” infatti alcuni primati.
Anzitutto la ricchezza e l’unicità (si trova qui la più vasta area terrazzata d’Italia) di un territorio che produce ben 42 prodotti a denominazione territoriale (1° provincia della Lombardia), dalla Bresaola della Valtellina IGP (80% di tutta la bresaola nazionale) al Casera DOP, dal Bitto DOP ai Pizzoccheri IGP, dai vini DOCG alle mele IGP. E poi la capacità di “sfruttare” economicamente questa ricchezza: il settore agroalimentare in provincia di Sondrio, “capoluogo” della Valtellina, genera infatti un valore rilevante sul territorio, con un’incidenza superiore alla media nazionale e di altre regioni italiane. Molto positivo anche l’andamento dell’export che, lo scorso anno, ha generato un giro di affari di 96,3 milioni di euro, di cui 89,8 milioni di euro ottenuto attraverso il commercio di prodotti F&B. Il tutto nonostante il Covid.
Ambiente e buon cibo si trasformano insomma in ricchezza ma diventano anche calamita per il turismo, facendo leva su un’offerta in continua evoluzione, capace di intercettare molteplici esigenze. Basti pensare che nel triennio 2017-2019 le presenze turistiche hanno avuto un exploit di oltre il 30% (1° provincia del Centro-Nord Italia per crescita), contro una media nazionale del +3,8%.