«Se le cantine cooperative e la Provincia stessero al loro posto, noi appoggeremmo in toto il Piano Vino della Fondazione Mach perché è davvero ben fatto». Ma il vino “social” non vuole saperne di cedere il passo e ha anche altri, grossi nei: «I grandi colossi del vino non fanno quello che hanno nel cuore, ma seguono i mercati e le mode. La salvezza dell’enologia locale è in mano ai vignaioli». Parole schiette e libere come i suoi anni, 26, e frutto della sua esperienza – già tanta considerata la giovane età – che l’ha portata a lavorare (e ad aprire i suoi orizzonti) da Jan Luc Maldant, piccola cantina di Chorey-les-Beaune, nella Cote d’or, poi in Toscana da Fontodi, e poi ancora da Albrecht Kiessling ad Heilbronn, Germania. Tra le migliaia di giovani enologi di tutta Europa, la migliore è lei: Erika Pedrini, figlia d’arte, cresciuta a vendemmie e potature, di Domenico, che assieme a Mario Zambarda e Gianni Chistè ha fondato nel 1972 la Pravis, cantina della Valle dei Laghi che conta su 30 ettari di proprietà, produce circa 230mila bottiglie l’anno per un fatturato di 1,2 milioni di euro. Il 6 aprile la giuria di Art Vinum, award internazionale che da cinque anni premia i migliori enologi d’Europa, ha stabilito che è lei, per il 2011, la più brava tra i duecento giovani under 35 in nomination, provenienti da tutte le nazioni del Vecchio Continente.
Erika, lei è membro del consiglio direttivo dei Vignaioli. Ci spieghi il suo punto di vista sul no che è stato detto dalla vostra associazione al Piano Vino e alla Mostra dei Vini 2011?
Non è stata una decisione facile, ma, allo stesso modo, è stata unanime e corale, come da decenni non succedeva. La cooperazione come sempre ha messo il becco e ha rovinato il Piano della Fondazione Mach, che è bellissimo, mandandolo in fumo. Se la Cooperazione e Mellarini stessero al loro posto, noi appoggeremmo con forza il Piano. Non vogliamo né creare spaccature, né fare guerre, ma nemmeno continuare ad essere pazienti se questo atteggiamento non porta a niente.
La Mostra dei Vini salterà?
Le rispondo così. Senza i vignaioli, secondo lei, ha senso che venga fatta?
Come legge l’attuale situazione del comparto vino?
Credo che questa crisi sia dovuta a un errore delle cantine e dei ristoratori. Entrambi hanno fatto diventare il vino un gioiello e questo è stato uno sbagliato. Il vino è piacere, quotidianità, non va messo su un piedistallo. Ed il suo legame con la cucina è fondamentale.
E in Trentino, qual è il nodo cruciale?
Purtroppo qui il problema è la gestione della produzione, che è in mano a grandi aziende che seguono le mode e i mercati. Un esempio? Il Pinot grigio.
Restano sempre i Vignaioli…
Esatto. Tutti i vignaioli trentini hanno seguito una strada a mio avviso più giusta, più legata alla zonazione, più radicata alle tradizioni. Penso proprio che i vignaioli saranno coloro che salveranno il vino trentino. La cultura delle nostre tradizioni ci salverà.
Quali sono i vini su cui ritiene giusto puntare?
Credo molto nel recupero dei vecchi vitigni, come la Negrara o il Franconia, che venivano coltivati in passato ma poi sono stati espiantati a favore di Chardonnay e Pinot grigio. Ora con la moda del TrentoDoc dobbiamo stare attenti…
Secondo lei il TrentoDoc è un pericolo?
Il punto è che non si può rincorrere una moda che magari fra dieci anni passerà. Dico solo che se la zona è vocata per la produzione di spumante, ben venga, altrimenti non si può forzare la mano. Ogni viticoltore deve farsi un esame di coscienza e poi produrre quello che crede meglio. Ma con il cuore.
Passione, cuore, emozione. Una visione del vino molto femminile la sua, giusto?
Forse, anche se credo che la passione risieda negli uomini e nelle donne indistintamente. Il vino ha bisogno di passione nel farlo e nel venderlo e la cosa importante è che abbia un’anima.
Dal 2008 ha iniziato a lavorare in Pravis. È stato difficile da donna giovane inserirsi?
Assolutamente no, mio padre mi lascia molta libertà. Secondo me il vino fatto da uomo e da una donna assieme dà il risultato migliore e sicuramente è la forza della nostra cantina.
Nel mondo del vino il dibattito è aperto sui nuovi target. Quali sono secondo lei?
Le donne sono sicuramente il target emergente del momento e mi viene da dire anche finalmente, perché fino a poco tempo fa hanno sempre avuto paura di non capire il vino e di sbagliare. Per fortuna oggi le cose stanno cambiando e si sta aprendo una nuova Era per le donne e il vino.
Da piccola sognava di fare Miss Italia o la vignaiola?
La vignaiola, da sempre. I miei miti sono i grandi enologi come Cottarella oppure Mario Poier e mio padre, di sicuro non Belen Rodriguez come tante ragazze di oggi.
Il suo sogno nel cassetto?
Una volta, fino a qualche anno fa, erano i Tre Bicchieri assegnati dalla guida Gambero Rosso ai migliori vini d’Italia. Adesso, invece, il mito delle guide è calato. Al Vinitaly abbiamo lanciato la linea Naran, un rosso e un bianco coltivati totalmente senza trattamenti chimici grazie alle caratteristiche del vitigno Freiburg. Il sogno più grande, però, sarebbe quello di fare un prodotto apprezzato a livello universale, che riesca a racchiudere tutta l’anima della Valle dei Laghi, l’innovazione del mio pensiero e l’amore che c’è in tutta la mia famiglia per la vita e per il vino.
“Se la Cooperazione e Mellarini….”
“Se le cantine cooperative e la Provincia….”
se, se, se….
“Penso proprio che i vignaioli saranno coloro che salveranno il vino trentino” Tutti? non credo…
e poi, salveranno pure il vino trentino ma non potranno mai garantire il reddito ai viticoltori come sta facendo da tempo la Cooperazione.
Ci siamo già sentiti, caro Giuliano, sul tema: per il Trentino vitivinicolo la cooperazione è fondamentale, ma per garantire il reddito la strada è lunga e difficile per tutti. Ciò che non va bene è prendere le scorciatoie, drogando di fatto le remunerazioni. Commercializzare il Pinot grigio delle Venezie è legittimo per le società di capitale, ma buttare questo peso sulla bilancia della cooperazione assomiglia troppo alla “spada di Brenno” (se i ricordi delle elementari non mi tradiscono). Sta tutta qua, a mio parere, la crisi del vino trentino: se la cooperativa trasforma e vende l’uva dei propri soci, fa solo il suo dovere; se compra vino fuori zona fa il commerciante, se lo fa in grande stile, diventa industriale. Queste sono le regole dell’etica. Il resto è mistificazione che porta alla crisi morale anche con le tasche piene di soldi. O don Guetti non la pensava cosi?