Sono state 10.377.195 le bottiglie di Franciacorta commercializzate, fra Italia e il mondo, nel corso del 2010, con un incremento del 10% rispetto all’anno precedente. Il dato rappresenta un primato assoluto in Italia per una denominazione prodotta con il metodo della rifermentazione in bottiglia. «Siamo orgogliosi di aver superato questa soglia che non è solo simbolica – ha commentato Maurizio Zanella, presidente del Franciacorta – nonostante la crescita quantitativa sia stata sempre un obiettivo decisamente secondario rispetto all’incremento qualitativo medio della produzione. A questo si aggiunge la congiuntura economica globale, che anche nel 2010 ha visto una ripresa molto modesta. Nonostante questo, la politica dei prezzi delle nostre aziende è stata coerente e stabile: i nostri produttori non si sono fatti spaventare dal momento e hanno scelto di continuare a puntare sull’eccellenza del prodotto». Le aziende associate al Consorzio per la tutela del Franciacorta sono oggi 104, 7 in più rispetto a un anno fa e la rappresentatività del Consorzio è oggi al 97% sul totale della produzione del territorio.
Ma a Trento, il “rivale” TrentoDoc si interroga. Spiega Mauro Lunelli, l’enologo principe del gruppo Ferrari, presidente della commissione camerale competente per lo spumante metodo classico trentino, interrogato da L’Adige: «Non è l’aspetto tecnico che mi preoccupa, perché i produttori del Trentodoc ci sanno tutti fare. È il versante commerciale che lascia molto perplessi». La preoccupano i bollettini di vittoria di Franciacorta, che ha annunciato lo sfondamento del tetto dei 10 milioni di bottiglie nel 2010? «Mah – risponde Lunelli – sui numeri ci andrei cauto, ci sono sempre oscillazioni strane tra quantità imbottigliate ed effettivamente vendute. A parte questo, ho visto un prezzo medio bassino: significa che i franciacortini di punta tengono alte le quotazioni mentre la gran massa svende a pochi soldi». E invece col Trentodoc riuscite a tenere prezzi dignitosi? «Anche le bottiglie trentine le vedo in giro a prezzi di vergogna, che almeno per i nostri standard Ferrari sarebbero sotto costo. A Natale ho visto bottiglie a 4 euro, prezzi di cui non trovo una spiegazione, se non quella di svuotare le cantine e dare numeri alti ai soci. Ma così si squalifica tutto il prodotto: ogni tanto il mio direttore commerciale propone “tanto vale tirarlo via quel Trentodoc”. Non possiamo offrire le nostre bollicine a prezzi da Prosecco!». Il solito accanimento dei privati contro la cooperazione? «Già i colossi cooperativi hanno infangato il buon nome del territorio acquistando vino in Veneto ed Emilia e imbottigliandolo. Certo, non c’è scritto “Trentino”, ma i marchi sono i nostri. Così hanno fatto extraprofitti commerciali che non riflettevano i valori della nostra viticoltura, e si sono costruiti le megastrutture con il 40% di contributi provinciali, quindi pagate a metà da noi cittadini contribuenti. Speriamo che tornino ad essere aziende che badano ai bilanci, come ogni azienda dovrebbe fare, indipendentemente dai soldi della Provincia. Speriamo che Mellarini riesca a fare un piano di rilancio del vino che passi finalmente dalle parole ai fatti».
I giornali e i giornalisti locali, miei esimi colleghi, però, credo sbaglino a continuare a insistere su argomenti triti e ritriti e a cavalcare enosoap del tutto, a mio avviso ridicole. Come quella che ora riguarda Elisabette Foradori, rea di aver detto che una resa di 170 qt a ettero è fuori misura. E ora si iniziano a interrogare i “vicini di casa” per controbattere. Ma a cosa serve tutto questo?
A cosa serve continuare a parlare di TrentoDoc senza poi fare, concretamente, cose per divulgarlo, promuoverlo e venderlo (come del resto ben sanno fare in casa Ferrari)?