Fatturati e trend della Grappa italiana

Secondo la ricerca condotta da Pambianco Strategie di Impresa sui bilanci delle aziende specializzate nella produzione di grappa, il giro d’affari 2015 delle prime venti realtà italiane (escluse quelle che appartengono a gruppi il cui fatturato prevalente è legato a prodotti extra-grappa come Bottega, Stock e Branca) è stato pari a 223 milioni di euro contro i 225 del 2014.

Il distillato simbolo dell’Italia ha ottime prospettive di crescita legate all’export, la cui incidenza sul fatturato complessivo è pari al 25 per cento. Tuttavia, la situazione delle principali realtà di settore è statica, condizionata dalla debolezza del mercato interno e dal suo peso tuttora dominante.
Una quota superiore al 25% del fatturato complessivo viene registrata dai primi due player, Bonollo spa (linee Consenso e Luigi Bonollo, oltre a produzione di alcol e grappa da imbottigliamento) e Bonollo Umberto (marchio Of), entrambi con un giro d’affari di 33 milioni di euro. Solo nove aziende presentano fatturati oltre i dieci milioni. Ne deriva che il settore, all’interno del quale operano oltre 140 distillerie, è caratterizzato da piccoli numeri, con pochi gruppi rilevanti e tanti micro-distillatori che appaiono in difficoltà verso i mercati esteri. Complessivamente, le aziende sono sane e generano utili, per quanto la marginalità calcolata in ebitda sia largamente inferiore a quella dei vini italiani d’alta gamma (10,6% contro 23,1%), ma non hanno spalle larghe per investire in marketing e comunicazione, e non riescono a raggiungere i successi internazionali di quei vini come Prosecco, Brunello o Amarone di cui le grappe spesso portano il nome.

PRODOTTO EVOLUTO

Vista in positivo, la situazione della grappa sta migliorando e il prodotto sembra ormai pronto, sotto il profilo qualitativo, per misurarsi all’estero con i suoi più illustri competitor come whisky, cognac e rhum. L’export nel 2016, secondo i dati forniti da Istat e rielaborati da Assodistil, è aumentato del 5,2% ed Elvio Bonollo (Bonollo Umberto), presidente dell’Istituto nazionale grappa, evidenzia i progressi ottenuti in Russia ed Est Europa, +35% negli ultimi sei anni, diventate un nuovo polo di riferimento per le esportazioni in aggiunta ai tradizionali mercati di lingua tedesca, che primeggiano in Europa. “I consumatori – spiega Bonollo – sono alla ricerca di prodotti diversi, dal carattere unico, e la grappa oggi è in grado di avvicinare nuovi target di consumatori, più sofisticati e sempre più declinati al femminile, soprattutto con la versione invecchiata”. Bonollo non si aspetta balzi improvvisi nell’export, vede prospettive di consolidamento tra nord ed est Europa, auspica infine un aumento del peso del mercato nordamericano sui bilanci di settore. “Siamo e resteremo un prodotto di nicchia – conclude l’imprenditore di Padova – perché la produzione totale di grappa è inferiore ai 20 milioni di litri ed equivale perciò a una sola grande etichetta di rhum. Siamo certamente pronti a entrare nel mondo dei cocktail, ma non dobbiamo snaturare il concetto di grappa e il nostro focus di degustazione, che resta legato al fine pasto”.

CULTURA ARTIGIANALE

Un caso a parte resta quello di Nonino, azienda che negli anni Settanta rivoluzionò il modo di produrre e presentare il prodotto con la creazione della grappa Monovitigno, il cui export dichiarato per il 2016 è pari al 50% del fatturato totale. “L’essere un brand globale, oggi siamo distribuiti in 72 Paesi del mondo, è la conseguenza di una condotta qualitativa e di innovazione sempre con un metodo di distillazione 100% artigianale”, afferma Antonella Nonino, che assieme alle sorelle Cristina ed Elisabetta gestisce l’azienda con sede a Percoto (Udine). I principali mercati esteri di Nonino corrispondono a quelli tradizionali del mondo grappa, ovvero i Paesi di lingua tedesca e a seguire il Nord America, cui si aggiungono i mercati asiatici, sudamericani e africani, che le ultime edizioni di Prowein e Vinitaly, fiere cui l’azienda prende parte, hanno contribuito ulteriormente ad ampliare con l’inserimento di nuovi importatori. “La grappa può crescere ancora nel panorama mondiale – evidenzia Nonino – purché sia pronta a investire nella qualità. La nostra famiglia si batte da 30 anni per ottenere una regolamentazione di produzione. C’è un problema di qualità e di trasparenza verso il cliente finale, che il governo dovrebbe risolvere obbligando a indicare chiaramente in etichetta il metodo di distillazione, industriale con alambicco continuo o artigianale con quello discontinuo, e se l’azienda ha realmente prodotto o si è limitata a imbottigliare quella grappa”.

SPIRITO DI SQUADRA

Il caso di Roberto Castagner, fondatore di Acquavite spa a Vazzola (Treviso) e presente nel mercato per il 65% con i propri marchi destinati a horeca e grande distribuzione, dimostra come si possa emergere in soli vent’anni di attività, in un settore caratterizzato da imprese storiche e spesso ultracentenarie, innovando il prodotto e puntando sugli invecchiamenti e sulle linee di barrique. “Il prodotto oggi è all’altezza – afferma il distillatore trevigiano – ma perché si imponga a livello internazionale occorre investire sul concetto di grappa come rito italiano, collegato al nostro stile di vita, all’eleganza e alla moda”. Il limite dimensionale è un ostacolo agli investimenti in marketing e comunicazione, di cui la grappa avrebbe bisogno per farsi conoscere nel mondo, e inoltre le aziende del settore non sono mai sembrate pronte per fare azioni di squadra. Proprio a Vinitaly, però, è andato in scena un primo caso di inversione di tendenza, con la presentazione corale e mirata ai buyer operata da esponenti di nuova generazione di cinque aziende (Castagner, Mazzetti D’Altavilla, Bertagnolli, Franciacorta e Marzadro) e che avrà un seguito a New York. “Mettendoci assieme, otterremo più risorse dando il via a uno spirito nuovo per essere più forti nei mercati internazionali”, conclude Castagner.

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