Enrico Serafino, lo Steve Jobs del Piemonte. Non solo bollicine e Nebbiolo, anche un grande Gavi

Enrico Serafino nasce in una famiglia molto ricca del canavese, proprietari terrieri e rentier a Romano Canavese. Nel nord del Piemonte all’epoca non si faceva vino, ma Enrico Serafino rimane affascinato dall’innovazione tecnologica che in quegli anni era appena avvenuta in Piemonte, ossia la produzione dello spumante, con Carlo Gancia che nel 1865 crea il primo metodo classico italiano. Serafino vede in questa nuova tecnica vinicola un’occasione di business e decide di partire per il sud del Piemonte in cerca di terreni vinicoli, una zona agricola decisamente unica per le produzioni vegetali, basti pensare alla tonda gentile, al tartufo, al cardo gobbo, solo per citare tre eccellenze uniche a livello mondiale che qui hanno visto la luce grazie a una conformazione territoriale eccezionale: il bacino terziario piemontese, in cui si trovano rocce basaltiche dell’Irlanda e rocce vulcaniche siciliane nonché il fondo marino emerso e rappresentato dal fossile di conchiglia che si trova nel logo della cantina.

Enrico Serafino arriva a Canale, zona di produzione di vino ma anche di  ciliegie, pesche e ortaggi, e non gli serve molto per decideer di costruire qui  cantina che sogna. Individua subito la location più idonea (dove ancora oggi si trova la cantina), un edificio industriale situato in una zona di grande passaggio, vicino alla stazione ferroviaria. Lo stabilimento era occupato da un’attività di produzione di pasta: Enrico Serafino riesce a rilevarla  e inizia a costruire le cantine. E’ il  1878. Pochi anni dopo, davanti all’edificio viene costruito il tranvai.

Il primo atto di grande intelligenza di Enrico Serafino è quello di  decidere di produrre solo vini che i contadini non erano in grado di produrre, per questo si focalizza su uno spumante, un Barolo e un Barbaresco,  produzioni per ricchi perché bisognava aspettare 7-8 anni prima di rilasciarli sul mercato. La sua idea di differenziarsi è geniale quanto immediata, e sarà coerente con questa idea fino alla fine della sua attività. Le sue etichetete sono oggetto di studio per le università italiane di archeologia industriale, perché sono tra le più innovative dell’epoca. Un pioniere in tutto: nel 1900 i suoi vini vengon premiati all’Expo di Parigi, nel 1910 diventa Cavaliere del lavoro ed esporta il vino in Cina, nel 1911 è uno dei 3 produttori di vino invitati a festeggiare l’Unità d’Italia, nel 1918 (anno della sua morte) realizza un depliant sui suoi vini in ben 4 lingue, in breve tempo diventa fornitore della Real Casa, è un filantropo accanito, finanzia costruzioni di momumenti così come le colonie estive per i bambini meno abbienti.

A fine Ottocento e nei primi anni del Novecento i vini della cantina – come Barolo, Barbaresco e Barbera – vengono esportati in tutto il mondo, dall’Europa alla Cina, dalle Americhe all’India. Il Metodo Classico di Enrico Serafino, identificabile per il raffinato logo art déco, insieme ad altri esclusivi spumanti piemontesi, conquista il mondo. I suoi manifesti pubblicitari compaiono nelle strade di New York, Londra e Parigi e le bottiglie diventano protagoniste di importanti scene di film hollywoodiani e dei ricevimenti più eleganti. Segno della rilevanza della Casa è il riconoscimento di Enrico Serafino come produttore storico di Barolo e Barbaresco che vale il diritto legale, in deroga alle norme molto restrittive dei disciplinari, di compiere l’intero processo di vinificazione e affinamento di questi due vini nelle proprie cantine di Canale vale a dire fuori dalla normale area autorizzata. A dimostrazione di ciò, in cantina ancora oggi riposano annate di Barolo dal 1939 e di Barbaresco dal 1949 e sono custoditi ben 80 diversi millesimi del “Re dei Vini”.

Insomma, «se Carlo Gancia è stato il Bill Gates delle bollicine, Enrico Serafino è  Steve Jobs», spiega il presidente della cantina, Nico Conta.

Poi, come spesso capita, gli eredi non riescono a proseguire con altrettanto successo l’attività di chi li ha preceduti e, nel giro di trent’anni, la Enrico Serafino vive tre passaggi di proprietà: va in mano alla famiglia Barbero, proprietaria di Aperol, che nel 2003 viene acquisita da Campari (e nel pacchetto c’è anche la cantina di Canale) e poi arriva l’imprenditore americano Kyle Krause, a capo di un gruppo di famiglia che controlla una diversificata serie di business che abbracciano retail, logistica, turismo, vino, real estate, agricoltura e club sportivi in tutto il mondo. Nel 2015 rileva Enrico Serafino, l’anno successivo Vietti e nel 2020 il Parma Calcio.

Nico Conta arriva nel 2017, affiancato «da un team straordinario, Paolo Giacosa è un enologo di raffinatezza assoluta, Gianni Malerba un grandissimo agronomo, e poi c’è il resto dello staff che non è da meno».

La produzione totale annuale è di 350.000 bottiglie ottenute da uve che provengono dai 25 ettari di proprietà nelle zone di Barolo, Langa, Roero e Alta Langa, oltre che dai 35 ettari di vigneti di conferitori di lungo periodo che vengono continuamente monitorati dagli agronomi della Casa.

La cantina si trova ancora nella stessa sede degli inizi, in un complesso di fabbricati originali che sono uno dei landmark di Canale e della zona vitivinicola che circonda Alba. In totale si tratta di oltre 6.000 metri quadrati disposti su tre livelli dove tecnologia e botti per l’affinamento convivono in piena armonia. Non mancano gli spazi dedicati al ricordo e alla tradizione, dove sono esposti antichi strumenti di lavoro e attrezzature per la vinificazione. L’area più suggestiva è certamente quella delle originali grotte sotterranee ottocentesche, a temperatura e umidità costanti, destinate a celebrare il rito produttivo degli spumanti Metodo Classico Alta Langa. Qui si respira una magica atmosfera di tradizione e di paziente attesa per una maturazione che solo il tempo può assicurare.

Punto focale della qualità in Enrico Serafino è la vendemmia esclusivamente manuale e in cassa delle uve, la procedura di doppia cernita su tavoli vibranti, al 100% esenti da convogliatori a coclea, e la fermentazione differenziata dei diversi vigneti. Questa si attua attraverso le tecniche di fermentazione dell’uva intera, degli acini interi o dell’uva diraspata e pressata anche con la metodica del cappello sommerso.

Sarebbe facile raccontarvi degli spumanti Metodo Classico di Enrico Serafino, come l’Alta Langa 2008 riserva Zero140, che la  Guida essenziale ai vini d’Italia 2022 di Doctor wine, curata dal giornalista  Daniele Cernilli, ha appena decretato miglior spumante della Penisola. Zero 140 è l’Alta Langa più estrema di Enrico Serafino oltre che il Metodo Classico dal più lungo affinamento mai prodotto in Italia. Proposto per la prima volta nel 2018 con il millesimo 2005, Zero 140 è il frutto della volontà di Enrico Serafino di verificare la longevità dei vini di Alta Langa. Infatti, la proposta di questo metodo classico Pas Dosé che si è affinato sui lieviti per quasi 12 anni (143 mesi e 3 settimane per il 2005), è il culmine del progetto Alta Langa della cantina. La cuvée è composta da Pinot Nero 85% Chardonnay 15%, al naso perdominano le note di crema pasticcera e  caffé, in bocca è crema, burro, croissant, torrefazione, tutto sostenuto da una bellissima vena acida che continua a chiamare il sorso.

Altrettanto facile sarebbe raccontarvi dell’eterea eleganza dei Barolo e Barbaresco di Enrico Serafino. Quello che vi voglio raccontare più nel dettaglio, invece, è della piccola produzione di Gavi a cui l’azienda dedica ben due etichette: il Grifo del Quartaro (100mila bottiglie all’anno) è un portento di spidità, con un naso che profuma di pompelmo, fiori bianchi, salvia e lime e una bocca dove torna il pompelmo assieme alla frutta bianca, con una bellissima acidità;  il Poggio della Ripe (6mila bottiglie) profuma di ua spina e agrumi, in bocca è più morbido e ampio del Grifo, ma di altrettanta grandissima piacevolezza. Due etichette  di grande complessità, eleganza e bevibilità, che dimostrano come  a Gavi del Comune di Gavi, grazie al particolare terroir caratterizzato da un suolo gessoso-solfifero e dal microclima, si possa trocare la massima espressione del vitigno Cortese.

 

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