È ora di… Ovada!

OVADA (AL), 31 gennaio – Nella vita e tra le viti ci sono luoghi comuni molto difficili da confutare. Uno di questi è che dal vitigno dolcetto si ottengano solo rossi di pronta beva, quotidiani, da vendere presto e a prezzi modesti. Colpa del nome, che alcuni sedicenti esperti riconducono alla dolcezza e, invece, pare derivare da dusèt, “dosso” nel dialetto di Langa? Colpa della sorte, che per secoli l’ha relegato al ruolo di cugino povero del nobile nebbiolo?

In questi termini ne parlano ancora in tanti, compresi gli autori dei testi che fanno sudare gli aspiranti sommelier. Per questo, quando un gruppo di viticoltori – sia pure riuniti nel Consorzio di una DOCG – t’invita a una degustazione di quattordici campioni di Dolcetto e precisa che si partirà dall’annata 2010 per risalire fino al 1985, è forte la tentazione di rispondere: «No, grazie». Però ne conosci alcuni, rispetti e apprezzi la loro dedizione, qua e là qualcosa di buono hai già assaggiato, sei curioso e comunque tra i matti ti trovi bene: che fai? Ti alzi presto anche di sabato e, da Pavia, raggiungi l’alto Monferrato alle dieci e mezza del mattino.

L’invito arriva infatti dal Consorzio Ovada DOCG, che tutela e promuove il vino noto fino al 2008 come Dolcetto di Ovada Superiore DOC; luogo di ritrovo il Quartino diVino, un’ottima enoteca con uso di cucina, dotata di una cantina notevole ed eretica, perché il bravo Giuseppe Martelli osa proporre anche un’ampia gamma di Champagne. L’intento dei produttori che ci accolgono è raccontare non tanto le singole aziende, ma soprattutto i diversi comuni che compongono la denominazione, in una completa panoramica del territorio.

Così ingraniamo la (retro)marcia e, dopo aver ammirato la lunga teoria di bottiglie esposte, iniziamo gli assaggi. Come detto, i nostri palati ripercorrono trent’anni di enostoria ovadese, nell’arco di quattordici calici distribuiti tra altrettante cantine – alcune non più in attività – situate in undici comuni differenti. Lo dico subito: alla faccia della pronta beva, proprio tra i campioni di lunga evoluzione ho trovato le sorprese più interessanti e piacevoli. Come faccio di solito, senza nulla togliere agli altri vini presentati (gradevolissimi), cito il drappello dei più seducenti. Almeno per me.

Dal comune di Tagliolo Monferrato arriva un Ovada 2007 che non ha toccato legno: è quello della Cascina Boccia, schietto, nervoso e insieme affabile.

Interessante il 2003 della Cascina Gentile di Capriata d’Orba: molto persistente, paradossalmente uscito da vecchie botti usate a mo’ di semplice contenitore, lascia in bocca un bel ricordo di liquirizia.

Eccellente il campione presentato da una delle maggiori aziende dell’Ovadese: è il Gamondino 1999 de La Guardia di Morsasco. Il colore vivacissimo, la bella consistenza, il naso intenso e complesso preludono a una bocca fresca e piacevolmente “giovane”. D’altro canto, l’annata viene coralmente definita strepitosa dai vignaioli presenti.

Arriva il momento di ricordare il grande Pino Ratto, mancato lo scorso novembre. Personalità spigolosa e poliedrica, farmacista poi còlto dal fuoco della passione vitivinicola, Ratto sostenne sempre le potenzialità di invecchiamento del Dolcetto e in particolare dell’Ovada, in virtù della sua maggiore acidità. L’uva tendenzialmente sovramatura e l’uso di barrique vecchie rendono memorabile il suo Le Olive 1993, per l’ingresso in bocca morbido e suadente.

Siamo al gran finale: anche se la vigna d’origine non esiste più, dopo quasi trent’anni non smette di regalare emozioni la clamorosa bottiglia del 1985 prodotta dalla cantina Pesce di Silvano d’Orba. Eccola:

Ovada Pesce 1985
Ovada Pesce 1985

Il vino è ancora cristallino, solo l’unghia appena aranciata ne mostra l’età; fine e vivo il naso, ricca e sorprendentemente fresca la bocca. Merito dell’antica botte di castagno dove ha riposato?

Molto interessante, durante un momento di pausa, l’intervento di Elisa Paravidino, giovane responsabile Vigneti della gloriosa Tenuta Cannona: si tratta del Centro sperimentale vitivinicolo della Regione Piemonte e ha sede a Carpeneto, uno dei 22 comuni dell’Ovada DOCG. Qui nacque il vitigno albarossa, ottenuto negli anni Trenta dall’ampelografo Giovanni Dalmasso, incrociando barbera e nebbiolo di Dronero. A lungo trascurato, l’albarossa oggi è diffuso in molti areali piemontesi. Parte dell’attività sperimentale del Centro – che occupa 54 ettari – è dedicata alle uve dolcetto, tra i vigneti e la cantina di microvinificazione diretta da Ruggero Tragni, pure presente all’evento.

Il pranzo successivo, in compagnia di tutti gli associati al Consorzio, ha permesso di completare la degustazione abbinando ai piatti tradizionali del basso Piemonte gli Ovada DOCG attualmente in commercio, con risultati di notevole armonia. Tra questi ultimi assaggi si sono fatti notare il Losna dell’azienda Rocco di Carpeneto, l’Ottotori dei Forti del Vento e una bella magnum del Celso di Cascina Boccaccio.

I giovani Ovada DOCG
I giovani Ovada DOCG

La riuscita degli abbinamenti fa raccomandare senza esitazioni una visita da queste parti, approfittando dei menùovada: questo il nome dell’intelligente (e conveniente) iniziativa che vede i produttori del Consorzio in stretta sinergia con cinque validi ristoranti del territorio.

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Commenti

    • Roberto
    • 4 Febbraio 2015

    È sempre un piacere incontrarti Luca hai colto in pieno il nostro messaggio.
    Grazie

    • Luca Amodeo
    • 4 Febbraio 2015

    Piacere mio, caro Roberto: ho solo cercato di descrivere le belle sensazioni di una giornata memorabile.

  1. La prima riga del tuo articolo è maledettamente vera. Il dolcetto può dare emozioni pari a quelle di altri vitigni più blasonati. Grazie per aver condiviso questa esperienza!

    • Luca Amodeo
    • 4 Febbraio 2015

    Grazie a te per aver apprezzato la mia condivisione, Francesco!

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