Il mondo del vino in Trentino credo abbia bisogno di un atto di coraggio. Vogliamo fare vino perché ci crediamo oppure il vino era solo un’interessantissima opportunità di reddito? Perché se la risposta è la seconda, allora oggi che questo business non è più redditizio basta cambiare. Lo si è già fatto, cambiando vitigni ogni cambio di mode, lo possiamo fare anche adesso, passando dalle vigne alle mele, oppure a qualsiasi altro tipo di frutta, cereale o che ne so. Oppure magari abbandonando l’agricoltura per cedere i terreni per i campi di pannelli solari, come sta accadendo in Puglia… Ma qui dobbiamo avere il coraggio di dirlo: ci crediamo o no al vino trentino? Altre attività, per far campare i migliaia di soci delle cantine sociali, si possono inventare forse con più facilità che cimentarsi nell’impresa di risollevare l’enologia locale, che anche come immagine ha subito un contraccolpo non indifferente negli ultimi tempi.
Intanto che ci pensiamo su e smettiamo di farne questioni di principio o personalismi, su L’Adige finalmente si leggono delle reazioni interessanti. Eccole qui.
IERI, INTERVISTA A DELLAI
«La comunità trentina deve prendere atto che si è chiuso un ciclo e se ne è aperto un altro sul ruolo dell’ente pubblico: non è giusto pensare che la Provincia tutto copre e tutto sistema». È un Lorenzo Dellai quasi inedito quello che decide di intervenire, con toni pacati, per rispondere alle sollecitazioni espresse ieri dall’ Adige sui trentini «popolo di eterni assistiti», così abituati ormai ai contributi pubblici e all’intervento della Provincia in ogni situazione di difficoltà, da non riuscire quasi più a concepire di poter fare da soli, svilendo ogni capacità di iniziativa. Il governatore lo fa per dire che qualcosa è già cambiato, anche se solo due giorni fa c’è stato il commissariamento da parte della Provincia della Cantina La Vis, chiesto dalla stessa Federazione della cooperazione, incapace a fronteggiare il dissesto finanziario della società. Presidente Dellai, lei ora dice che si deve prendere atto di un ciclo nuovo, ma intanto la Provincia continua a intervenire in economia e in qualsiasi altra situazione critica, come ha sempre fatto. Cosa è cambiato? Invero, io sono alcuni anni che sto mettendo sul chi vive l’opinione pubblica trentina su questa immagine sbagliata della funzione della Provincia. Siamo in una fase di passaggio rispetto a una Provincia che negli anni ’50-’60 ha avuto un ruolo di volano essenziale per costruire il riscatto e il cambiamento in questa terra. Ma ora è giusto che si pensi a uno scenario diverso, noi lo stiamo facendo ma “a carne viva”, come si dice, ovvero giorno per giorno, su una comunità che deve elaborare nuove sensibilità, perché non si cambia a freddo e non abbiamo un modello già pronto. Lo avrà anche detto, ma poi nei fatti non si vedono questi «educativi» segnali di discontinuità. Dove sono? Da qualche bell’anno la Provincia sta mettendo dei paletti con una maggiore selettività dei propri interventi, sia verso i cittadini che verso le imprese. Proprio il caso della frana di Piné è un esempio. A fronte della richiesta, espressa da altre forze politiche (la Lega nord, Ndr.) di dare tutto a tutti, noi abbiamo deciso di selezionare i casi da aiutare. Il fatto è che i trentini ormai si aspettano sempre l’intervento della Provincia. È chiaro che ci può essere da parte della comunità una aspettativa crescente, ma una forza politica responsabile deve mettere dei paletti. Ed è quello che la giunta ha fatto anche per gli incentivi alle imprese, diventati sempre più selettivi, mirati e ridotti in termine di percentuale, cercando di favorire le aggregazioni di imprese e gli investimenti in ricerca. Questi sono segnali concreti. È un’inversione di tendenza non ancora molto percettibile, non le sembra? Ma la tendenza c’è e va verso una maggiore responsabilizzazione dei cittadini e delle imprese sapendo che il Trentino non è un’area metropolitana con grandi risorse economiche. Siamo un territorio in cui serve una partnership forte tra pubblico e privato, con una realtà intermedia importante in Trentino che è quella delle cooperative, che devono evolversi insieme. Intanto, la Provincia ha dovuto commissariare la Cantina di La Vis perché il sistema della cooperazione non riusciva da solo a fronteggiare la grave situazione: un buco pesante unito a irregolarità contabili. Le sembra normale? La Provincia non è un bancomat, ma non può neanche girarsi dall’altra parte. Noi abbiamo esercitato le nostre funzioni di vigilanza. Il commissario si muoverà in stretto contatto con la Provincia e valuterà la situazione finanziaria della cantina. Il Trentino deve percepirsi come una famiglia, dove quando ci sono delle difficoltà la prima regola è essere rigorosi nell’analisi. E questo è stato fatto. Trovo controproducente la presa di posizione di alcuni esponenti politici (sempre la Lega, Ndr.) che hanno cominciato a dare pagelle alla cooperazione. Veramente è stato lo stesso presidente della Federazione, Schelfi, a dire che il commissariamento era un fallimento della cooperazione, non è così? Schelfi ha fatto bene a usare il termine fallimento per quanto riguarda la capacità del sistema di intervenire per tempo dopo i primi segnali di preoccupazione. E a questo proposito penso che vadano rivisti i sistemi di vigilanza della Federazione. Ma io dico che non si può parlare di crisi del sistema della cooperazione per le difficoltà di una cantina, per quanto importante, perché non è così, visto che ci sono 89 cooperative agricole. La cooperazione, come tutti gli altri comparti, vive una stagione di difficoltà e richiede degli aggiustamenti. E Schelfi lo sa benissimo. Lei dice che c’è qualcosa da rivedere nella vigilanza, in che modo? Qui stiamo parlando di una realtà cooperativa complessa per dimensioni e per intrecci di società, non siamo più al modello classico della piccola cooperativa sociale, quindi probabilmente i meccanismi di vigilanza non sono adeguati a questa complessità. Ora la Provincia ha preso in mano la situazione, quale sarà il futuro della Cantina La Vis? Dovremo ragionare insieme al settore vitivinicolo e all’Istituto di S. Michele su come rafforzare e rilanciare l’intero comparto del vino, in prospettiva. Intanto, siamo concentrati sulla situazione di difficoltà della La Vis esprimendo grande fiducia nella capacità della cantina di recuperare e ribadire la credibilità e il buon nome che La Vis aveva raggiunto una volta, quando aveva avviato la zonizzazione e puntato sul rapporto tra vino e territorio. Questi dovranno essere i pilastri del rilancio abbandonando i disegni «macro», per tornare alla cantina che conoscevamo.
INTERMEZZO: LA LEGA FINALMENTE DICE QUELLO CHE QUASI TUTTI PENSANO…
Ha deciso di prendere posizione anche la Lega Nord in merito alla crisi che sta attraversando il sistema vitivinicolo del Trentino, soprattutto dopo i fatti che hanno portato in questa settimana al commissariamento da parte della Provincia della cantina La Vis. Una posizione, quella del Carroccio, molto forte: la Lega definisce «mafioso» il sistema che fino ad oggi ha visto la Provincia e la Cooperazione muoversi come un «sol uomo» concedendo soldi, senza nessun tipo di controllo. «È giusto che prendiamo una posizione – afferma l’onorevole Maurizio Fugatti (nella foto con Savoi) – la crisi tocca diversi territori e La Vis è solo l’ultimo caso. Questa situazione arriva da lontano, ma ci ritroviamo solo oggi che si interviene con un piano, quello di San Michele. Non serve sparare solo contro la Cooperazione, ma anche la Provincia ha le sue colpe. È mancata totalmente una strategia di lungo periodo». Secondo la Lega Nord le responsabilità che oggi si tentano di far ricadere solamente sulla cooperazione, sarebbero anche in parte della Provincia, che ha concesso soldi non vedendo invece una crisi del settore. « Dellai ha dormito sull’evoluzione di questo settore – dice Fugatti – Non ci si può accorgere solo oggi, chi partecipava alle assemblee dei soci vedeva gli assessori provinciali rassicurare solo sul ripianamento dei buchi nei bilanci». Sarebbe impossibile pensare – secondo i leghisti – che la Provincia non sapesse nulla di questo settore, visto che le grosse passività di bilancio e le relazioni dei revisori dei conti avrebbero dovuto lanciare qualche campanello di allarme. Ma il dubbio principale che rivela Fugatti è che ora il commissariamento voluto da Dellai voglia essere un modo per nascondere i problemi e le malefatte di un consiglio di amministrazione davanti ai soci delle cantine. «Siamo davanti a 80 milioni di debiti – afferma anche il consigliere Savoi – su circa 100 milioni di fatturato annuale ed è chiara la volontà avuta da tutti di nascondere. Siamo alla presenza di un sistema fortemente mafioso, dove pochi hanno cercato di controllare tutto». Dure critiche arrivano anche al presidente della cooperazione Diego Schelfi. «La politica di Schelfi ha fallito – dice Savoi – ora serve cambiare registro e soprattutto offrire liquidità ai soci magari con la vendita della tenuta in Toscana. In questi giorni è iniziata la vendemmia e quest’anno non è più un momento di festa, come in passato. In molti sono preoccupati del loro futuro». Ad esprimere timori per i soci di La Vis è anche la consigliera Franca Penasa, perché si vedrebbero privati ora dei loro diritti da un commissario, venendo meno, in questo modo, i principi della cooperazione. Da parte del leghista Claudio Civettini arriva invece una critica alla forte influenza politica sulla cooperazione. «La politica – ha detto – deve rimane fuori da questi campi. Oggi l’unica persona che deve essere commissariata è Diego Schelfi».
OGGI INTERVISTA A SCHELFI
Prima parla di «fallimento» e chiede aiuto alla Provincia; poi, dice «basta confusione tra Provincia e cooperazione» e fa l’offeso. Diego Schelfi, presidente della Federazione della cooperazione, a sorpresa risponde picche su tutta la linea – anche con tono risentito – al governatore Lorenzo Dellai, che ieri, in relazione al caso Cantina di La Vis, in un’intervista all’ Adige aveva espresso la necessità di rivedere i sistemi di vigilanza della Federazione, ma anche di abbandonare i disegni «macro» per riportare i progetti della cantina entro i confini trentini, concentrandoli sul rapporto vino-territorio, che aveva creato negli anni passati il buon nome di La Vis. Infine, il presidente Dellai, parlando dell’intervento della Provincia per salvare la cantina sociale dal dissesto finanziario, così come degli altri interventi di soccorso da parte dell’ente pubblico, ha anche ammonito pro futuro: «La Provincia non si gira dall’altra parte, ma non è un bancomat». Qualcosa si è rotto tra Schelfi e Dellai, legati da forte sintonia politica dai tempi della Margherita, e ormai la tensione è uscita allo scoperto. Ed anche la vicenda delle Funivie Folgarida – riguardo alla quale i due hanno idee diverse – completa il quadro. Non può dunque non sorgere il sospetto che la Federazione abbia cercato di tenere nascosti sotto il tappeto i guai della Cantina La Vis finché ha potuto e sia stata alla fine la Provincia stessa a costringerla a chiedere il commissariamento. E si capiscono allora le irascibilità del capo della cooperazione trentina di fronte a chi gli dice che non ha fatto bene e cosa si deve fare ora. «Il sistema cooperativo funziona – dice con orgoglio Schelfi – è una foresta che continua a crescere e a dare i suoi frutti, anche se ogni tanto qualche albero cade». E sulle manie di grandezza che hanno portato La Vis ma anche la Cantina MezzaCorona a fare forti investimenti fuori dal Trentino (con molti soldi della Provincia), ribatte: «Chi fa l’imprenditore sa cosa vuol dire fare investimenti: qualcuno può andare bene e qualcuno male, ma la cooperazione non può essere ritenuta quella realtà imprenditoriale e istituzionale che sta sempre nell’angolo, che non può mirare alle cose importanti. Noi lavoriamo per la comunità e non c’è limite di sviluppo». Sul tasto delicato della vigilanza, che secondo Dellai non ha funzionato a dovere e andrebbe rivista perché un buco di 80 milioni della Cantina di La Vis non si fa in un anno, Schelfi replica stizzito: «Aumenta la responsabilità e la dimensione e quindi ci stiamo adeguando anche con i controlli. Ma la legge è stata cambiata due anni fa e per me funziona». Soprattutto però Schelfi non può digerire l’idea che la cooperazione sia considerata come collaterale al potere provinciale e poi che utilizzi la Provincia come bancomat, secondo la definizione usata dallo stesso presidente Dellai. Per il presidente della Federazione, anzi, la cooperazione è una «istituzione» al pari della Provincia. «Noi siamo un sistema di imprese privato – sostiene Schelfi – che si rapporta con la Provincia ma nel rispetto dei ruoli. Non so a cosa si riferisca Dellai quando parla di Provincia-bancomat, ma sono stufo di sentire che la cooperazione è privilegiata, perché non è vero. Noi attingiamo alle stesse leggi che valgono per le altre imprese». E perciò, finché ci sono leggi provinciali che prevedono aiuti alla cooperazione e interventi per fronteggiare sofferenze o realizzare investimenti e garantire quelle remunerazioni a cui i soci si sono abituati non è certo colpa della cooperazione trentina. Autocritica da parte di Schelfi: zero. Avanti così.