Sei proposte, concrete e operative, per delineare un orizzonte di evoluzione e sviluppo della filiera olivicolo-olearia italiana, gioiello del made in Italy e anello strategico per una transizione in chiave sostenibile del settore agroalimentare europeo: questo il lascito de “Il futuro dell’olio italiano: moderno e sostenibile”, primo Rapporto di respiro trasversale, articolato su tre pilastri – nutrizione e salute, economia e valore, ambiente e territorio – sull’olio extravergine italiano, realizzato dal think tank internazionale The European House – Ambrosetti in partnership con Monini. Lo studio, nella versione integrale, è scaricabile dal sito web Monini https://www.monini.com/it/futuro e dal sito web The European House – Ambrosetti https://www.ambrosetti.eu/whats-hot/il-futuro-dellolio-italiano-moderno-e-sostenibile/.
Lo studio, impreziosito da una prefazione dell’europarlamentare Paolo De Castro, è stato presentato oggi a Cibus Forum (Parma, 2-3 settembre), primo appuntamento ufficiale dell’universo Food&Beverage dopo la pausa forzata legata all’emergenza Covid-19, durante la tavola rotonda “Come si modificano i rapporti di filiera: valenza strategica e prospettive future per l’agroalimentare”, cui hanno partecipato alcuni tra i principali rappresentanti del mondo agricolo e agroindustriale, tra cui il presidente di Monini, Zefferino Monini.
Lo studio vuole infatti porsi come base di discussione, a disposizione degli attori del settore e delle istituzioni, per uno sviluppo sostenibile della filiera. L’obiettivo, fortemente voluto da Monini che nell’anno del suo Centenario si fa interprete delle esigenze del comparto, è inaugurare un nuovo approccio condiviso, basato sul dialogo e sulla crescita armonica della filiera agroalimentare, di cui l’olio è uno dei primi ambasciatori nel mondo. Un approccio virtuoso di cui la stessa Monini ha dato esempio con il suo Piano di Sostenibilità al 2030 avviato a marzo di quest’anno.
L’olio extravergine italiano, come evidenzia lo studio, ha tutte le potenzialità – il più alto tasso di biodiversità olivicola al mondo (583 cultivar, il doppio della Spagna), la varietà di ecosistemi naturali, il patrimonio tecnologico dell’industria di trasformazione – per primeggiare a livello internazionale in quanto a qualità, gusto e proprietà nutraceutiche. Un primato potenziale che si scontra però con limiti strutturali e organizzativi, uniti alla scarsa percezione del valore del prodotto da parte dei consumatori, che minano la competitività della filiera, impedendo al gioiello del made in Italy di esprimere tutta la sua eccellenza sul mercato.
Da questa analisi approfondita prendono le mosse le sei proposte per un rilancio effettivo della filiera, in chiave moderna e sostenibile.
Le sei proposte per la filiera olivicolo-olearia
- promuovere un sistema agricolo a più olivicolture, ampliando le superfici esistenti e convertendo, da tradizionali a intensivi, gli oliveti privi di un ruolo multifunzionale, allo scopo di valorizzare le specificità delle diverse tipologie di impianto riequilibrandone al meglio la distribuzione sul territorio;
- favorire la creazione di sinergie tra università, organizzazioni di produttori e imprese della filiera per stimolare l’imprenditorialità attraverso la formazione e l’assistenza tecnica rivolta tanto ai professionisti di domani quanto a quelli attualmente attivi;
- pagare il giusto prezzo a tutti gli attori della filiera per aumentare la redditività delle imprese e favorire gli investimenti necessari allo sviluppo futuro del settore in chiave tecnologica, sfruttandone a pieno il potenziale competitivo;
- ridurre gli impatti ambientali delle attività produttive attraverso l’adozione di pratiche sostenibili da parte di tutti gli attori della filiera, allo scopo di tutelare l’ambiente e di aumentare il valore del prodotto percepito dal mercato;
- fare educazione alimentare sul valore nutrizionale dell’olio d’oliva attraverso un ampio coinvolgimento degli attori chiave interessati mediante la combinazione di attività formative e divulgative, allo scopo di consolidare la percezione dell’olio extra vergine d’oliva come un prodotto sano e nutraceutico;
- promuovere la certificazione di un olio extra vergine premium che assicuri un prodotto di alta qualità, nutraceutico e sostenibile, per superare le asimmetrie informative presenti sul mercato, aumentando il valore percepito e accompagnando il cliente verso un consumo più responsabile.
I tre pilastri dello studio
Nutrizione e salute
Il più alto tasso di biodiversità olivicola al mondo, unita alla varietà di ecosistemi naturali e al patrimonio tecnologico dell’industria di trasformazione, rendono l’olio extra vergine d’oliva italiano potenzialmente primo al mondo per qualità, gusto e proprietà nutraceutiche. Il prodotto non solo è alla base della dieta mediterranea – tra le più salutari al mondo – ma è anche ricco di elementi come polifenoli, acido oleico e vitamina E che, oltre a definirne il profilo organolettico, consentono di prevenire tumori, diabete, patologie cardiovascolari e deficit cognitivi.
Per questa ragione, quando la diffusione di una cultura alimentare sana diventa una sfida nutrizionale prioritaria a livello globale, l’olio extra vergine di oliva di alta qualità può giocare un ruolo da protagonista. Ciononostante, il mondo si divide in due tipologie di consumatori di olio d’oliva. Coloro che, interessati al profilo salutistico nutrizionale del prodotto, ne domandano sempre maggiori quantità e quelli che, guidati per lo più da prezzo e convenienza, ne riducono progressivamente il consumo.
Economia e valore
La filiera olivicolo-olearia ricopre un ruolo di primo piano nel contesto del settore agroalimentare nazionale. L’Italia è 2a al mondo per produzione ed esportazioni di olio d’oliva e 1a per consumo pro-capite. I risultati economici della filiera dipendono specialmente dalle performance del segmento industriale che contribuisce al 70% del fatturato, traendo vantaggio anche dalla capacità di valorizzare diversi prodotti e sottoprodotti, dalle olive da tavola alla sansa e i suoi lavorati.
Eppure, il calo della produzione rispetto al 1990 (-36%) testimonia alcuni importanti limiti strutturali e organizzativi alla competitività della nostra filiera, oltre che di una scarsa percezione del valore del prodotto da parte dei consumatori. Il settore olivicolo-oleario presenta una distribuzione disomogenea del valore generato tra i suoi attori e, la maggior parte delle imprese, registrano una marginalità ridotta. Ciò è particolarmente evidente nell’olivicoltura, troppo votata ad un approccio tradizionale poco meccanizzato, ma anche nella prima trasformazione, spesso orientata a massimizzare i profitti concentrandosi più sui volumi che sulla qualità, e nell’imbottigliamento, la cui attività è fortemente influenza dalla competizione sui prezzi.
Ambiente e territorio
L’olivicoltura genera diversi impatti positivi sull’ambiente naturale e sul territorio in cui si colloca. La pianta d’olivo è infatti in grado di sequestrare CO2 dall’atmosfera stoccando carbonio nel terreno in quantità tali da avvicinare la filiera ad azzerare le proprie emissioni complessive. Si tratta di una coltivazione con un fabbisogno idrico ridotto, capace di adattarsi all’interno di ecosistemi molto diversi e che gode di una natura multifunzionale che costituisce un patrimonio sociale, culturale e turistico di grande valore per le aree geografiche votate all’olivicoltura.
L’agroalimentare può rappresentare una chiave di volta quando si riflette sugli impatti ambientali delle attività umane, non solo sul versante produttivo, ma anche su quello dei consumi. Le tecniche adottate in campo, così come le scelte dei consumatori a tavola, possono portare a scenari d’impatto molto diversi fra loro. In questo contesto, l’olio d’oliva e la sua filiera custodiscono un enorme potenziale, grazie alla varietà di soluzioni che ciascun attore può mettere in campo per mitigare l’impronta complessiva, già piuttosto contenuta, di una bottiglia di olio extra vergine d’oliva.