Cavit e Mezzacorona semplici imbottigliatori, mentre tutto il resto del comparto dovrà rimboccarsi le maniche e trovare sinergie nuove. Sono queste le prime indiscrezioni che trapelano dai ben informati in merito alla direzione che prenderanno le linee guida che saranno tracciate dai quattro “saggi” (Attilio Scienza, Emilio Pedron, Fabio Piccoli ed Enrico Paternoster), incaricati dalla Provincia autonoma di Trento di dare forma al rilancio del settore vinicolo locale al posto della Consulta, sospesa dopo le querelle dei giorni scorsi.
Sarà, questa, una via perseguibile? In attesa di saperlo, c’è chi ne indica un’altra, forse non molto diversa, e sicuramente complementare. «La strada da seguire, per il vino trentino, è che i conferitori delle cantine sociali si mettano a fare poche bottiglie a casa propria, dando vita a tante piccole maison vinicole». Da allestire sfruttando anche i garage di casa, non importa. Dopo le garage band, insomma, anche le garage winery. È questo uno degli ingredienti fondamentali della ricetta, estremamente concreta ed operativa, firmata da un grande winemaker internazionale che ha molto a cuore le sorti del Trentino. Lui è Roberto Cipresso, uno dei più apprezzati enologi del mondo, artefice di vini pluripremiati, insignito dell’Oscar del Vino 2006 come miglior enologo italiano, bassanese d’origine, trapiantato a Montalcino, classe 1963. E studente, al tempo, dell’Istituto agrario di San Michele all’Adige.
Cipresso, lei che qualsiasi vino tocca diventa un successo, cosa pensa che dovrebbe far l’enologia trentina per rilanciarsi?
Se si vuole uscire da quest’impasse bisogna fare vini unici, di cui innamorarsi.
Ma in Trentino si è sempre puntato sul fatto di fare vini dall’ottimo rapporto qualità/prezzo. Tutto sbagliato?
In questo momento di mercato un po’ saturo e sicuramente difficile, bisogna puntare su prodotti che non possano essere confrontati con altri. Ci sarà sempre qualcuno che dirà di aver trovato un vino migliore a un prezzo più basso… Se invece si producono vini, ripeto, unici, il confronto non c’è e il prezzo non è più la discriminante.
Ci sono altri ingredienti per la sua ricetta salva-Trentino?
Penso che quello che è più piccolo in questo momento sia ritenuto più affascinante. Consiglierei a tutti i conferitori d’uva di farsi la propria cantina, anche nel garage di casa, invece di conferire alle cantine sociali.
Quindi cooperative vinicole più piccole?
Sì, anche perché la competizione con le multinazionali del vino è una lotta impari in cui è meglio non cimentarsi.
Cosa ne pensa di un Trentino patria del vino bio?
Tutte le strade che portano a prodotti più sensibili e aderenti al loro territorio trovano sicuramente il successo di domani. Dopodichè, il grande lavoro è quello di fare una forte comunicazione su due aspetti: la storia e la ricerca. La storia del Trentino è ricca e antica e bisognerebbe svilupparla costruendo attorno ad ogni vino leggende e tradizioni, che già esistono, basta solo ritrovarle.
E per quanto riguarda la ricerca?
L’Istituto agrario di San Michele deve tornare a mettere sul campo tesi di ricerca e sviluppo, permettendo al Trentino di tornare ad essere il punto di riferimento per il futuro del vino nazionale. Non può disperdere le forse occupandosi anche di mele e pesci. Infine, mostrerei le diversità del territorio, del clima, dei paesaggi: una varietà straordinaria che è di grande appeal.
Lei che vini farebbe qui da noi?
Avete varietà autoctone di gran razza, prima su tutte il Teroldego, o uve bianche di grandissimo profilo qualitativo. Mi cimenterei volentieri e con grande passione nella viticoltura estrema, di collina. Da voi verrei a fare rossi e bianchi fermi.
E delle bollicine TrentoDoc cosa ne pensa?
Ci punterei molto. La posizione geografica del Trentino consentirebbe di fare fantastiche bollicine che darebbero motivo d’orgoglio all’Italia. Insomma, il TrentoDoc ha alcuni esempi di altissimo profilo, ma sarebbe bene che la media si alzasse perché il Trentino ha tutte le carte in regola per fare bollicine superiori.
Grazie a Roberto Cipresso per i suoi preziosi consigli.
Mi si permetta una piccola considerazione sulle “garage winery”
Ogni produttore di uva ha la tentazione recondita di mettersi in proprio e farsi il vino per dimostrare ai propri colleghi che la sua uva darebbe vita al miglior vino al mondo, la cosa più difficile è superare questa tentazione e unirsi ad altri viticoltori per produrre vino ad un costo nettamente inferiore.
La Cooperazione è capace di compiere questo piccolo miracolo.
Stai dicendo l’esatto contrario di quello che dice Cipresso… Sono due punti di vista diversi. Io sposo quella di Roberto. E il perchè lo spiega lui… E cmq, come ho già detto altre volte, va deciso solo chi essere: vino a costo nettamente inferiore oppure vini di cui innamorarsi… Vini di cui innamorarsi il Trentino ne saprebbe fare… e alcuni già li fa e li vende, guarda caso, tutti, sempre. Vuoi un esempio? Il Gran Masetto di Endrizzi.