Non si erano mai viste prima, almeno pubblicamente, sedute allo stesso tavolo.
È successo ieri al Mart di Rovereto (TN) – grazie a un convegno che ho avuto l’opportunità di organizzare e coordinare con la delegazione di Rovereto dell’Accademia italiana della cucina – che le cinque più importanti guide gastronomiche italiane si siano trovate tutte assieme per parlare del valore che il loro lavoro ha per il territorio e per la cucina regionale.
Il titolo dell’incontro era “Le guide gastronomiche nazionali e la cucina regionale italiana”: un tema ambizioso, che ha voluto puntare i riflettori sull’importanza delle guide per lo sviluppo culturale e turistico di un territorio, perché la cucina racchiude tutto questo, ovvero la storia, la cultura, le tradizioni e anche il lato leisure di un luogo.
Non solo, il turismo enogastronomico è costantemente in crescita: i turisti enogastronomici sono saliti al 30% secondo il “Primo Rapporto sul turismo enogastronomico italiano”, presentato a gennaio di quest’anno e curato dall’Università degli studi di Bergamo e dalla World Food Travel Association, con il patrocinio di Touring Club, Ismea Qualivita, Federculture e la collaborazione di Seminario Veronelli e The Fork- TripAdvisor. Un dato che dichiara come l’enogastronomia sia passata da un ruolo “accessorio” a componente in grado di influenzare le scelte di viaggio.
A questo si aggiungono i dati FIPE relative al 2017: la ristorazione italiana, con 41 miliardi di euro di valore aggiunto, è il settore trainante della filiera agroalimentare italiana, più importante di Agricoltura e Industria Alimentare.
Nonostante questo, a oggi non esiste una classificazione istituzionale dei ristoranti, come invece accade per gli alberghi. Anche per questo motivo le guide gastronomiche italiane hanno un ruolo fondamentale e sono così ambite da chef e ristoratori.
Come funzionano queste guide? Quali sono le differenze tra di loro e soprattutto cosa portano in valore ai ristoranti che riescono a essere inseriti in guida e, ancora di più al territorio dove questi ristoranti si trovano?
Secondo i dati dello studio “Taste Turism” condotto dalla società GFC riportati da Marco Do, direttore comunicazione di Michelin Italia, l’indotto dei 356 ristoranti stellati italiani della Rossa più desiderata, è di oltre 300 milioni di euro all’anno. «La cucina è un business in pieno sviluppo. Non si è ancora approfondito abbastanza su quanto valore abbia la ristorazione di alta qualità per il luogo in cui si trova. Chi segue questo tipo di ristorazione – ha spiegato Do –- si muove, dorme in un hotel, va a visitare un museo, in altre parole spende dei soldi. Tutto questo genera un indotto».
L’idea originale di una guida utilizzabile dal turista venne ad André Michelin, fondatore col fratello Edouard dell’omonima azienda francese di pneumatici, nel 1896. La prima pubblicazione ufficiale fu nel 1900, limitata al territorio nazionale. In Italia la prima edizione è datata 1956 e oggi il nostro Paese si conferma secondo al mondo per numero di ristoranti stellati. «La guida Michelin – ha sottolineato Do, non è un’edizione di critica gastronomica ma è una guida per chi viaggia. Il nostro target è il viaggiatore. Lo dimostra la legenda che spiega il significato delle stelle, nate nel 1926: 1 Stella “merita la tappa”, 2 Stelle “merita una deviazione”, 3 Stelle “merita il viaggio”. L’unico criterio per l’attribuzione delle Stelle o l’inserimento di un ristorante in guida è il piatto. Altri aspetti per quanto riguarda la qualità non vengono presi in considerazione: il comfort viene segnalato dai simboli forchette e coltelli incrociati. Per noi non conta la grandezza di uno chef o il suo blasone, noi ci prendiamo un impegno importante con i nostri viaggiatori, ossia quello di garantire l’esperienza, che deve essere costante». Gli ispettori di Michelin sono tutti dipendenti, «hanno il contratto collettivo della gomma e della plastica (perché l’azienda che paga i conti è il colosso dei pneumatici Michelin, ndr), operano in forma anonima, in tutto sono una novantina e si scambiano i Paesi». Nel mondo, ci sono in totale 3.100 locali stellati, di cui 500 2 Stelle e appena 130 3 Stelle, il massimo riconoscimento.
Da quella che oggi è conosciuta come LA Rossa a quella che è stata la prima Rossa, ossia la guida del Touring Club Italiano, che nasce 1894 da un gruppo di 57 velocipedisti, con l’intento di diffondere i valori ideali e pratici del ciclismo e del viaggio. Nel 1899 sono già 16.000 i soci. Nel 1914 TCI pubblica i primi volumi della Guida d’Italia, che diventerà familiarmente conosciuta come Guida Rossa per il colore della copertina, mentre nel 1931 diventerà verde. Al Touring si deve la proposta delle prime piste ciclabili italiane, alla fine dell’Ottocento, l’impianto dei cartelli stradali, collabora nella stesura del primo Regolamento di Polizia Stradale, solo per citare alcune delle azioni di un valore non misurabile quanto importante del TCI, il cui target, ha fatto sapere Lorenza Vitali, collaboratrice storica della Guida TCI, «è la famiglia, con figli, che ha a disposizione un budget medio e che cerca di dormire, mangiare e viaggiare al meglio possibile. Oggi sono 280mila i soci del Touring».
Molti gli spunti proposti anche da Andrea Grignaffini, vice curatore della Guida Ristoranti de L’Espresso. «La nostra guida nasce come critica gastronomica, il locale viene affrontato con un lungo racconto da parte dell’autore, che oggi è diventato più corto per esigenza di spazio. Il vero segnale dei tempi, nel giro di questi ultimi 10 anni è sicuramente che c’è stata una svolta epocale nella cucina, un salto tecnico enorme. Il cibo oggi si presta a una lettura molto complessa. Il sapore di uno spaghetto cambia se messo in un piatto fondo o in un piatto piano. Lo stesso vale se si mangia un risotto con la forchetta o con il cucchiaio. La gastronomia non è più un esercizio palatale, ma mentale. Bisogna capire la funzione finale del progetto del piatto. Le guide oggi devono dare una lettura professionistica di un mondo ormai fatto da alti professionisti: il nostro lavoro quindi non è mail stato così utile come adesso». La prossima edizione della Guida Ristoranti d’Italia de L’Espresso vedrà incorporare anche la guida ai vini: «I recensori sono una novantina, coordinati da capiarea».
Identità golose, giunta all’edizione nr.14, è oltre a una guida soprattutto un congresso di alta cucina. «Noi italiani – spiega l’ideatore di IG, Paolo Marchi – facciamo molta fatica a dare valore a un piatto: anche per questo il mondo della ristorazione internazionale non ci riconosce la forza creativa di altre nazioni. Noi di Identità Golose cerchiamo di tracciare le tendenze, di individuare le persone che hanno un’eccellenza da dire, una grande idea, non ragioniamo a livello regionale. E cerchiamo di valorizzare i giovani, provando a individuare prima degli altri gli emergenti». IG ha «un centinaio di collaboratori sparsi nel mondo. Come guida siamo solo online perché secondo noi le guide cartacee non sono più attuali».
Slow Food Editore nasce nel 1990 con l’obiettivo di sostenere con una produzione libraria i temi cari all’associazione Slow Food, fondata nel 1986 (i primi anni sotto il nome di Arcigola) e diventata nel 1989 un’associazione internazionale con l’intento di difendere il cibo “buono, pulito e giusto”. L’esordio della casa editrice è affidato all’Atlante delle grandi vigne di Langa, seguito l’anno successivo dal bestseller assoluto, con cadenza annuale, della casa editrice, Osterie d’Italia. «A volere questa guida è stato Marino Marini e la prima edizone non riportava l’anno, perché l’intenzione era quella di fare un unicum. Invece il successo fu talmente grande che si decise di continuare a editarla ogni anno» ha raccontato Eugenio Signoroni, direttore dal 2012 della guida Le Osterie d’Italia. «La prima edizione riportava solo 700 segnalazioni dai soci Slow Food. Oggi contiamo su 1657 segnalazioni, i nostri testi sono abbastanza lunghi perché vogliamo raccontare l’esperienza più che fare della critica gastronomica. Non diamo punteggi. Il simbolo della chioccola che contraddistingue le 271 osterie più rappresentative, è arrivato nel 1993. Noi nella guida diamo molta attenzione all’esperienza complessiva, allo stare bene, oltre che al mangiare bene. Per questo il ruolo dell’oste, di chi accoglie in sala, è fondamentale. Anche l’elemento del prezzo è distintivo per noi, perché solo i locali che propongono un pasto completo a non più di 35-40 euro vini esclusi». Le Osterie d’Italia hanno «386 collaboratori sparsi per tutto il Paese, non professionisti: sono volontari, a cui rimborsiamo il pasto, organizzati in modo gerarchico». Quanto vale stare in questa guida? «Le Osterie d’Italia portano circa il 30% della clientela per un locale inserito in giuda».
Il convegno è stato aperto dai saluti del delegato di Rovereto dell’Accademia italiana della cucina, Germano Berteotti, dall’assessore al Turismo e all’Agricoltura della Provincia autonoma di Trento Michele dalla Piccola, dal sindaco di Rovereto Franco Valduga e dall’intervento introduttivo del delegato regionale AIC Raoul Ragazzi. Un focus regionale è stato poi fatto dal direttore del Corriere del Trentino, Corriere dell’Alto Adige e Corriere di Bologna Enrico Franco e dall’amministratore unico di Trentino Marketing Maurizio Rossini. Le conclusioni sono state affidate al Segretario generale AIC Roberto Ariani.