L’Enantio a piede franco è il nuovo Presidio Slow Food

Il Presidio Slow Food dell’enantio a piede franco è stato ufficialmente presentato a Torino sabato 24 settembre nell’ambito di Terra Madre Salone del Gusto.  Hanno preso parte all’evento le tre aziende produttrici del nuovo Presidio: Lorenzo Bongiovanni (Azienda Agricola Bongiovanni di Sabbionara di Avio), Filippo Scienza (Azienda Agricola Vallarom di Avio) e Cristina Fugatti (’Azienda Agricola Roeno di Brentino Belluno).

«Un Presidio – evidenzia Tommaso Martini, presidente Slow Food Trentino – che ha un significato particolare andando a valorizzare un vitigno che si identifica in modo unico con la sua area di produzione sia per la sua antichissima storia sia per il profondo legame con il suolo, il paesaggio, le origini della viticoltura Trentina. I Presìdi Slow Food sono Comunità di produttori che salvano specie animali, varietà vegetali, metodi di allevamento o trasformazione che, in qualche modo, vanno contro il paradigma della produttività a tutti i costi e della competizione. Con l’enantio a piede franco emergono infatti i valori della lungimiranza di chi non ha espiantato queste viti, la cooperazione tra aziende che valorizzano un territorio non blasonato ma che ha tantissimo da esprimere in termini di qualità del prodotto e esperienza turistica».

Per parlare del nuovo Presidio Slow Food dell’enantio a piede franco potremmo cominciare dall’inizio, cioè da Plinio il Vecchio e da quella storia che ci riporta indietro di un paio di decine di secoli, o magari dal fondo, cioè dalla vinificazione e dall’imbottigliamento di questo vino che nasce in Vallagarina, tra le province di Trento e Verona. Ma un nome così curioso per un vitigno non lascia spazio a dubbi: meglio partire da lì. Enantio a piede franco, dunque, si riferisce a una varietà di vite – l’enantio, appunto – le cui piante nascono per propaggine – a piede franco – senza essere innestate. Niente barbatelle, insomma: queste piante corrono sul terreno e, con la sapiente mano dei viticoltori, si riproducono.  A spiegare il sistema della propagazione delle viti è Lorenzo Bongiovanni, referente dei tre produttori che aderiscono al nuovo Presidio Slow Food: «Si prende un tralcio (cioè un ramo giovane, ndr) della pianta, lo si ripiega verso il terreno, lo si interra in una buca per circa 30 centimetri e poi lo si fa riemergere dal suolo per una spanna. Si riempie la buca e si aspetta che il tralcio “spinga” verso l’altro, cioè cresca, mentre dalle gemme sotto terra le radici si propagano». Poi, è solo questione di tempo: «Nel giro di due o tre anni, il tralcio sarà grande e forte, così si procederà a separarlo dalla pianta madre». A proposito di pianta madre: anche lei, cioè la prima a venire piantata in vigna, è autoctona al 100%: «È da più di quarant’anni che non ne faccio, perché non abbiamo più fatto nascere nuovi vigneti ma soltanto propagato quelli esistenti, ma il meccanismo prevede di prendere un tralcio da un’altra pianta di enantio, farla radicare in acqua e poi piantarla. In altre parole, niente portainnesti esterni, nessun materiale vivaistico, ma soltanto il patrimonio genetico della stessa pianta».

«Parlare di viti a piede franco  – spiega Cristina Fugatti che con l’azienda agricola Roeno aderisce al Presidio – significa fare un tuffo indietro nel tempo lungo almeno centocinquant’anni, a quando cioè l’Europa conobbe a proprie spese la fillossera, la più temibile delle minacce alla viticoltura. L’insetto, importato accidentalmente dal nord America, attaccò le viti di quasi tutta Italia: a fine Ottocento era segnalato in 900 comuni, nel 1931 praticamente tutte le province del nostro Paese avevano avuto a che fare con questo parassita. La vite, nel giro di mezzo secolo, era sul punto di sparire per sempre. La soluzione fu quella di riprodurre le viti per innesto, cioè unendo un tralcio dotato di gemme, con un piede, o innesto, resistente alla fillossera. La viticoltura, in questo modo, si salvò.  Le vigne a piede franco resistono ancora oggi soltanto in pochissime parti d’Italia, aree dove la composizione del suolo, oppure l’altitudine, hanno impedito alla fillossera di proliferare. In Vallagarina, lungo le rive del fiume Adige tra le province di Trento e di Verona, grazie alla struttura sabbiosa-silicea del terreno, l’afide non è riuscito ad attaccare l’apparato radicale di queste vigne e ancora oggi viene quindi coltivato l’enantio a piede franco. Il Presidio è un riconoscimento – prosegue Cristina – che arriva dopo decenni di lavoro su questo vitigno, un riconoscimento che va a tutto il territorio e un auspicio a credere e investire nella nostra terra».

La superficie coltivata a enantio, negli ultimi trent’anni, si è ridotta moltissimo ed oggi si può calcolare è tra i 35 e i 40 ettari, calcolando anche i vigneti appartenenti ad aziende che non aderiscono al Presidio Slow Food. «A valorizzare questo vitigno, a imbottigliare l’enantio proveniente da vigneti a piede franco commercializzandolo con un’etichetta ad hoc – gli fa eco Bongiovanni – siamo rimasti in tre. Fino alla metà degli anni Ottanta, la varietà era molto diffusa e in questa zona tra il basso Trentino e l’alto Veronese siamo cresciuti a lambrusca» scherza Bongiovanni. La varietà infatti è conosciuta anche come lambrusco a foglia frastagliata. «Il nome non induca però in confusione – chiarisce Filippo Scienza di Vallarom che sulle sue bottiglie riporta anche quest’ultima dicitura- : nulla a che vedere con il Iambrusco emiliano: l’enantio è a foglia frastagliata e quel termine richiama la natura selvatica e robusta della pianta. Caratteristiche che si ritrovano anche nel vino, dal color rosso rubino intenso, un sapore secco, acidità ben presente e patrimonio tannico ben equilibrato, che lo rendono adatto agli abbinamenti con i piatti rustici della cucina trentina, ma anche con salumi e formaggi stagionati. Un vino che è un concentrato del nostro territorio».

Con l’ingresso dell’enantio a piede franco i Presìdi trentini salgono al numero di quattordici. Protagonisti indiscussi sono i formaggi caratterizzati dalla scelta del latto crudo e dell’assenza di fermenti industriali: il Casolet della Valle di Sole, Rabbi e Pejo, le produzioni di malga di Puzzone di Moena, Lagorai, Trentingrana e Vezzena, i formaggi ottenuti, secondo un rigido disciplinare, lavorando esclusivamente latte delle razze autoctone grigio alpina e rendena. Troviamo poi il broccolo di Torbole, il grano saraceno di Terragnolo, le Ciuighe di San Lorenzo in Banale, la noce bleggiana. Infine un altro vino, il Vino Santo Trentino prodotto con un lungo procedimento di appassimento dall’uva Nosiola. Un record per la nostra provincia la presenza di due presidi legati al mondo della viticoltura. In tutto il mondo infatti ne contiamo diciassette dei quali sette in Italia. Un segnale di come il territorio trentino, nella sua infinita varietà di ecosistemi, custodisca un patrimonio unico di vini autoctoni e tecniche di allevamento e trasformazione che possono dare una lettura del territorio diversa e valorizzarlo anche dal punto di vista turistico.

 

Il Presidio Slow Food dell’enantio a piede franco è nato grazie al sostegno economico di Apt Rovereto Vallagarina Monte Baldo, Comune di Avio, Comune di Brentino Belluno, Sparkasse, DB Formazione e di alcuni partner minori che hanno finanziato le operazioni di ricerca, sopraluoghi, analisi che, dopo due anni di intenso lavoro da parte di Slow Food Trentino, della Condotta Slow Food Valle dell’Adige Alto Garda, di Slow Wine e della sede centrale dell’associazione, hanno portato al riconoscimento del Presidio.

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