Schelfi e le sue coop del vino sono preoccupate. Sì, perchè nel documento si parla di qualità come novità… E se se ne parla forse ci sarà un motivo o, almeno, una riflessione va fatta, credo. Scrivono dalla Federazione delle cooperative del Trentino: «La giunta provinciale ha presentato ieri il dossier della Fondazione Mach di San Michele all’Adige sull’attuale situazione del settore vitienologico trentino – premessa per un piano vitivinicolo che il presidente della Provincia autonoma si è impegnato a varare a breve. Saranno le cantine sociali ad esprimersi puntualmente sul dossier, dopo averlo letto ed analizzato alla luce del documento approvato recentemente all’unanimità da tutto il settore vino della cooperazione trentina». Ma ecco il commento di Diegho Schelfi: «Dalle prime impressioni – afferma il presidente della Cooperazione Trentina – mi sento di affermare la grande preoccupazione del mondo cooperativo per alcune linee di pensiero che traspaiono dal documento di San Michele. Prima fra tutte il concetto di qualità, che sembra venga inteso come un elemento di novità assoluta. Contesto in modo deciso il fatto – prosegue Schelfi – che all’attività delle cantine trentine non corrisponda la qualità. Essa fa parte, al contrario, del nostro lavoro quotidiano. Noi abbiamo sempre agito per una qualità sostenibile e rispettosa dell’ambiente che sappia contemperarsi con la necessità di stare sul mercato mondiale a prezzi accessibili. Non solo: anche il movimento delle cantine sociali sa fare qualità per nicchie elevate e ricche del mercato, ma che per l’appunto sono nicchie». Una posizione, quella espressa dal documento, che secondo la Cooperazione trentina mostra di non tenere in adeguata considerazione le dinamiche del mercato e la realtà della produzione. «Il nostro sistema vitivinicolo è invidiato in tutta Europa per capacità produttiva e per qualità. Senza contare il fatto che esso ha portato e porta il nome Trentino in tutto il mondo, legato fortemente al concetto di qualità percepita».
Ma ne siamo davvero sicuri? Voglio dire, se gli esperti della Fondazione Mach e tutti i tecnici e attori del settore che sono stati sentiti per stilare questo piano, compreso Pedron, sono arrivati a questa conclusione c’è un motivo o hanno preso un granchio?
«Tutto ciò non è inteso a disconoscere la necessità di una presenza a ventaglio della produzione trentina sui mercati. Siamo consapevoli – continua il presidente della Federazione – che ci deve essere un’offerta molto articolata e che tutta sia attraversata dall’eccellenza per ogni segmento di mercato aggredito. Dobbiamo tenere conto della necessità di remunerare il lavoro di 19.000 conferitori e di partecipare in maniera consistente all’interezza dell’economia provinciale».
A voi, cari lettori, i commenti.
Uhm, non ho ancora esaminato nel dettaglio il Piano della Fondazione Mach, ma proverei a concentrarmi sul concetto di qualità, di cui tutti parlano. Oggi è un prerequisito per qualsivoglia prodotto, non solo il vino. Se il sistema vitivinicolo trentino si trova a questi passi però, è segno che qualcosa non funziona (più). Quelli della Fondazione Mach non saranno dei maghi del marketing, ma il vino lo sanno giudicare, perciò se puntano il dito sul concetto di qualità, significa che quello finora propugnato dal sistema cooperativo trentino non va (più) bene. Ecco, io partirei da qui: di quale qualità stiamo parlando? E in base a che cosa Schelfi da’ per scontato che la “qualità percepita targata Trentino” sia sempre e comunque qualcosa di positivo?
Non c’è dubbio, Lizzy, che Schelfi si riferisca alla performance economica del sistema trentino nell’ultimo decennio; sulla qualità nel bicchiere, invece, è probabile che nell’immaginario collettivo il Trentino benefici della sua vicinanza con L’Alto Adige: il post su questo tema nel sito di GG del resto, lo sta a confermare.
La domanda sarebbe: è meglio chiarire all’universo mondo che una cosa è il Trentino ed altra è l’Alto Adige, o affrettarsi a diventare come loro per il bene di produttori e consumatori?
Ma porca miseria… scusate se mi infervoro e insisto.
Mi spiegate perchè se l’Alto Adige in materia di vino è un mito i suoi viticoltori appena possono si associano alle nostre cantine sociali?
Caro Angelo, credo solamente che questo denoti un’identità che non c’è in Trentino e che va trovata subito e al più presto, non pensi?
Giuseppe, è davvero così? E quanti, invece, in Alto Adige hanno le loro cantine? La mia è una domanda a voi esperti…
Ti garantisco che non è tutto oro ciò che luccica.
Presso la C.S.di Roverè della Luna, presso le cantine Mezzacorona, e pure presso la cantina di Lavis ci sono molti soci altoatesini che conferiscono interamente il loro prodotto, diciamo che sono altoatesini che tollerano “l’italianità” . Posso inoltre garantirti che presso cantine private trentine, di cui non voglio far nome per ovvii motivi, pur essendo anch’esse sul “fronte” non hanno conferenti altoatesini e anche questo mi sembra importante. Altra cosa importantissima: non e ripeto non ci sono conferenti trentini che portano l’uva presso le cantine dell’Alto Adige.
Altra questione importante le cantine sociali in Alto Adige sono meno diffuse che in Trentino, vi sono tanti privati che vinificano l’uva di viticoltori a loro affiliati ma vi garantisco che alla consegna dell’uva questi sono molto molto esigenti, figuriamoci poi con i pagamenti…
inoltre in certe annate, diciamo quelle delicate dal punto di vista sanitario, questi privati si sono permessi ancora di rifiutarsi di prendere l’uva dai viticoltori a loro affiliati, questo le nostre cantine sociali trentine non l’hanno mai fatto!!!
Ci sarebbero ben altre cose da raccontare che noi agricoltori sentiamo dalla viva voce dei colleghi sudtirolesi, ma …
Grazie sempre per lo spazio.
Il sistema coop dell’Alto Adige infatti è molto diverso da quello trentino, spt come mentalità…
Sì, GG, è proprio l’identità che manca al Trentino, mentre fino ad un paio d’anni fa non è certo mancata la redditività: ecco perchè, Giuseppe, i viticoltori della Bassa atesina a ridosso del confine con il Trentino sono storici soci per le nostre 3 cantine citate; lì manca una cantina sociale di riferimento e visto che le nostre col Pinot ci sapevano fare hanno accettato ben volentieri i soldi “italiani”. Ma rinunciando anche loro alla loro identità, chiaro? Sono faccende un pò complesse che qui è difficile riassumere: perchè non ci troviamo tutti il 16 dic. alle 8.45 a San Michele dove presenteranno il bistrattato documento vitivinicolo? Un modo per chiarirsi le idee, credo. Arrivederci!
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Scusate se irrompo ancora nelle vostre appassionanti discussioni, per chiedere a chi avrà la bontà di rispondermi:
ma i sindacati agricoli in questa vicenda della presentazione del Piano F.E.M. dove sono?
La coldiretti, confagricoltura solo per citare le più importanti cosa pensano?
Hanno un idea o brancolano nel buio?
O forse sarebbe meglio chiedersi: ma oggi come oggi chi è che rappresentano i sindacati agricoli?
Perché le ipotesi sono due: o hanno perso il contatto con la base e questo è gravissimo
o volutamente si tengono lontani da qualsiasi esposizione mediatica per non inimicarsi “mamma provincia”.
Ma allora mi chiedo: noi contadini a che ci associamo a fare?
Soltanto la denuncia dei redditi? Troppo poco…
Grazie sempre per lo spazio.
@Angelo, diciamo che per l’universo mondo sarebbe meglio aiutarlo a ripassare velocemente la geografia…ma per il sistema trentino non c’è dubbio che è meglio allinearsi agli standard qualitativi dell’Alto Adige, e godere di questa rendita di posizione!
@Giuseppe, mi rendo conto che per un viticoltore vedersi respingere l’uva perchè non risponde agli standard di qualità richiesti da chi dovrebbe acquistarla possa essere una jattura, ma… ma il fatto di aver sempre accettato tutto quello che i soci conferitori portavano, chiudendo gli occhi sulla qualità, è la politica portata avanti dalle cantine sociali del Veneto per decenni, ed è esattamente quello che ha contribuito a creare un’immagine altamente negativa di questo comparto. Così negativa che oggi, a dispetto degli enormi passi avanti fatti sia in campagna che in cantina, l’aura negativa permane. Al punto che, nonostante le cose siano veramente cambiate, ancora moltissime persone, sia in Italia sia all’estero si rifiutano categoricamente di comprare i vini delle cantine sociali venete. L’aver “protetto” sempre e comunque, e non piuttosto “educato” a lavorare meglio in campagna, i soci viticoltori ha portato a questo. Ora, ripeto, è tutto cambiato…ma vallo a dire al resto del mondo.
@Giuseppe, che belle domande! assolutamente centrate. Dove sono le grandi associazioni di categoria? se davvero avessero a cuore il futuro dei loro contadini sarebbero schierati dalla parte della…verità, per quanto scomoda e dolorosa possa essere. Il medico pietoso fa la piaga puzzolente, ricordiamocelo. Se per risolvere un problema bisogna prendere delle decisioni anche impopolari, quelle decisioni vanno prese.
Invece il fondato sospetto è che, nel migliore dei casi, stiano tutte alla finestra…in attesa del carro del vincitore, qualunque esso sia, e alla prima occasione saltarci sopra.
Giuseppe, chiamateli voi i sindacati se non si sono ancora mossi loro… perchè aspettare???
Cari Lizzy e Giuseppe, sappiamo che i sindacati sono in crisi da decenni e quelli agricoli, almeno in Trentino, sono stati fuorviati dai loro compiti dall’ignavia delle nostre istituzioni che li hanno inseriti anni fa in ogni organismo possibile, pensando ufficialmente di fare una cosa democratica ed in pratica di garantirsi la loro compiacenza o connivenza. Almeno io l’ho vista così. Per questo sono presenti anche nel CdA di San Michele dove, a quanto si è sentito, risulta che abbiano approvato convintamente il Documento vitivinicolo e che l’unica rabbiosa contastazione sia venuta dal rappresentante della cooperazione. c.d.d.
siccome più volte si cita l’alto adige mi permetto di riproporre la mia presa di posizione esposta al convegno udias del giugno 2009. gli atti interi sono quì: http://www.kobler-margreid.com/download_blog/vino_trentino.pdf
“…Io che sono di Magrè sulla strada del vino, sono molto vicino alla realtà trentina,
anche se naturalmente non la conosco in modo perfetto, pur avendo la mia campagna
proprio al confine con i comuni di Salorno, di Cortina all’Adige e di Roveré della
Luna.
Nel mio paese ci sono diversi viticoltori che conferiscono la loro uva alle cantine di
Lavis e di Mezzacorona e non soltanto alla cantina sociale di Magré e Nalles. Sono
molto contento anche di poter dire oggi che non è tutto oro quello che luccica, perché
nei 20 anni che mi occupo di viticoltura a livello di studio e di lavoro, nel nostro
paese c’è stata molta invidia verso il Trentino, soprattutto da parte dei viticoltori
quando si ragionava delle DOC che da noi hanno un massimo di 130 q. li/ha, mentre
in Trentino possono farne di più e con l’aggiunta del 20% di supero! In Alto Adige il
20% da anni non viene neanche più retribuito dalle cantine, va cioè a prezzo zero.
… Le soglie del DOC da noi non sono più nemmeno un tema da dibattere, perché tutte le
cantine esigono che per la stragrande maggioranza delle produzioni si vada al di sotto
dei limiti DOC per cui la discussione sul DOC ormai è obsoleta, non è più attuale
ecco, perché ci sono le DOC individuali, diciamo, di ogni cantina; e parlo anche di
cantine cooperative e naturalmente anche di quelle commerciali.
… Come per la DOC, tutti hanno fin qui guardato con invidia verso i “roveraideri”,
come li chiamiamo, perché quando c’era un terreno in vendita nel triangolo tra
Salorno (BZ), Roverè (TN) e Magrè (BZ), erano sempre quelli di Roveré della Luna
ad acquistarlo dando anche 10-20 euro in più al metro quadro, senza battere ciglio!
Orbene, devo dire che se adesso le cose vanno un po’ meno bene, anche se nei 20
anni scorsi si sono rifatti la casa, hanno acquistato il trattore Fendt, hanno fatto
studiare i figli (e questa è una gran bella cosa); un giornale economico ha detto che in
verità non c’è crisi, non è la crisi del vino questa, ha detto che questa è soltanto una
scopa molto potente che sta ripulendo l’economia di cose che non vanno bene. Come
dire “resettare” su dei livelli più normali. Comunque adesso l’invidia è sparita un po’
perché anche i nostri compaesani che portano l’uva in Trentino hanno visto che i
prezzi per ettaro – parliamo più concretamente di rese/ettaro che di rese/quintale –
stanno scendendo di più, siamo cioè più su valori normali, se così si vuol dire.
Anche l’Alto Adige risente della crisi e devo dire che, un po’ in contrapposizione con
il mio amico Mario Poier che frequenta sì i vignaioli Sudtirolesi, ma molto
probabilmente aziende che conosce da tempo, nel frattempo affermate e che sono sul
suo livello: loro sì che hanno le cantine vuote, però ci sono tanti altri vignaioli,
cooperative e commercianti che devono ancora impegnarsi a vendere in questi giorni
i loro vini, passando più ore fuori cantina che dentro, nei ristoranti e nelle enoteche a
proporre i loro prodotti. Non c’è, infatti, solo bianco e nero, ma ci sono tantissime
tonalità di grigio. Comunque abbiamo reagito, abbiamo fondato in ritardo un
Consorzio dei vini anche in Alto Adige e abbiamo capito che bisogna sempre andare
insieme e mai separati perché le 16 cantine cooperative che vinificano più di due terzi
dell’intera produzione, si avvantaggiano anche dell’immagine di tutta la regione
creata soprattutto dalle aziende medie e piccole.
Noi oggi ci concentriamo, con un nuovo concetto di marketing, su vitigni guida per il
lungo o medio periodo: Pinot bianco, Gewürztraminer e Sauvignon; e per i rossi la
Schiava, il Pinot nero ed il Lagrein, sempre ammettendo naturalmente anche le altre
varietà, ma concentrando gli sforzi di marketing non su mercati lontani che
polverizzano i nostri investimenti, ma su mercati che abbiamo già, trattando questi
sempre meglio.
Si parla spesso di mercato tout court e, secondo me, questo mercato non esiste; ci
sono infiniti mercati, per cui i concetti che vanno bene per l’uno non vanno bene per
l’altro e naturalmente anche viceversa.
Io sono molto legato al Trentino dal punto di vista emozionale, dalla storia e dalla
famiglia; devo dire che mi fa sempre un po’ male sentire della scarsa considerazione
sul Trentino, cioè parlando con i trentini sento spesso che pochi sono fieri della
situazione e tutti la pensano in modo diverso, molti si lamentano; i trentini si
identificano troppo poco con la loro identità, non voglio dire che devono essere
acritici verso la realtà, ma bisognerebbe che ci fossero più ragioni per essere fieri
della propria terra.
Non mi è piaciuto tanto sentire che le produzioni di qualità si ottengano solo in
colline; devo dire che forse c’è un preconcetto da parte mia: io produco tutto in
pianura e il vino buono viene anche lì, ma basta avere le varietà giuste, la tecnica
colturale adatta, sfruttando i risultati della zonazione.
… Con le zonazioni in Trentino hanno cominciato molto prima che in Alto Adige per
cui queste dovrebbero essere messe in pratica e non essere i criteri di
commercializzazione a breve termine a determinare se mettono una varietà al posto
dell’altra! Questa secondo me è una delle cose più importanti.
… Per concludere, voglio dire che ricette non ne ho; ognuno deve veder un po’ le cose
sue; sicuramente è tempo di muoversi.
Per una volta noi dell’Alto Adige – avendo speculato poco, restando per 20 anni
dietro al Trentino con minori introiti per ettaro – in questi momenti andiamo forse un
po’ meglio.
Vero è che bisogna vedere su cosa si punta: se si punta di più sulla grande,
grandissima distribuzione tipo Pinot grigio o se si vogliono fare anche dei prodotti di
nicchia.
Dico che il potenziale il Trentino ce l’ha senz’altro, per cui bisogna fare delle scelte.
Hai ragione Lizzj, ma quel contadino che magari a metà agosto si becca una forte grandinata che gli rovina l’uva ha un anno davanti in cui deve dar da mangiare ai suoi figli.
Quell’uva grandinata darà sicuramente un vino scadente che però una cantina sociale si prende l’onere di vinificare e in qualche modo vendere, il privato premiato magari con i tre bicchieri ti dice candidamente “tienitela, arrangiati”. C’è una bella differenza, lo vogliamo riconoscere questo?
Si hai ragione dovrei chiederlo direttamente io, e poi?
Hai idea a quali conseguenze andrei incontro?
Io sì.
Bravo Armin, come sempre hai detto delle cose sacrosante. Una in particolare mi sento di sottolineare: “le 16 cantine cooperative che vinificano più di due terzi dell’intera produzione, si avvantaggiano anche dell’immagine di tutta la regione creata soprattutto dalle aziende medie e piccole”. Ecco, questa è una delle chiavi del successo dell’Alto Adige di oggi. Una chiave, che, a quanto pare, il Trentino non possiede, perchè quell’immagine regionale che dovrebbe basarsi sulle realtà private medie e piccole è così striminzita e avvilita – dopo essere stata schiacciata per anni dallo strapotere delle cooperative, e da una politica che ha mosso mari e monti per favorirle – da essere del tutto insufficiente. Il riscatto dovrebbe partire proprio da qui, ma…ci sono abbastanza aziende per costruirla?
beh, sacrosante… troppo gentile, cara lizzy!
il mio commento è lungo, probabilmente troppo lungo, ma mi sembrava molto importante spiegare l’evoluzione della situazione trentina nel corso degli anni.
visto da uno che a cavallo tra le due province ha osservato e subito un po’ tutte le conseguenze.
parlare solo della crisi odierna senza i benefici degli anni passati mi sembra troppo riduttivo.