Il 2018 è stato l’anno dei record per la ristorazione Italiana. I consumi nei ristoranti hanno toccato i massimi storici con 85 miliardi spesi nel 2018 e un dato che dovrebbe far riflettere: nonostsante la spinta mediatica che vede protagonisti i ristoranti stellati e i relativi chef le 367 Stelle Michelin in Italia, ovvero lo 0,1% del totale dei ristoranti, ha un impatto economico irrisorio, stimato in un fatturato annuo pari a 284.380.000 di euro, lo 0,33% degli 85 miliardi complessivi. A dirlo è il “Rapporto RistoratoreTop 2019”, presentato a Rimini di fronte a 400 imprenditori del settore. Il rapporto, prodotto dal neonato Osservatorio Ristorazione, racconta lo status socio-economico, le abitudini di consumo, gli impatti della tecnologia e le nuove tendenze nel mondo della ristorazione nel 2018, elaborando dati provenienti da diverse fonti, tra le quali FIPE, Movimprese, Infocamere, Istat, Censis e Coldiretti.
L’anno dei record e l’importanza dei codici ATECO
Dall’analisi dei numeri di Movimprese, l’indice della nati-mortalità delle imprese di Unioncamere, emerge anche su scala locale il trend negativo nel rapporto tra attività avviate e cessate nel 2018: a Milano si registra un saldo di -477, il più alto degli ultimi 10 anni; a Roma di -922, meglio del 2015 (-951) e del 2017 (-941) ma più del doppio rispetto al 2009 (-435); a Napoli -392, il peggiore dal 2010 dopo un 2009 di saldo positivo. Complessivamente, dal 2009 al 2018 si registra un differenziale di -100.977. “In realtà, il numero di ristoranti risulta in crescita, arrivando nel 2018 ai massimi storici – spiega Lorenzo Ferrari, presidente dell’Osservatorio Ristorazione – ciò dipende da un aspetto finora ignorato nelle analisi di settore: le variazioni di codice ATECO, come i bar che diventano tavole calde, le macellerie che aggiungono la cucina, i concept store che uniscono la somministrazione di cibi e bevande ad attività commerciali completamente diverse. Insomma, tutti, oggi, vogliono fare da mangiare, complice anche la spinta mediatica che vede protagonisti i ristoranti stellati e i relativi chef. E’ interessante constatare come queste realtà, 367 in Italia, ovvero lo 0,1% del totale dei ristoranti, abbiano però un impatto economico irrisorio. Abbiamo stimato un fatturato annuo degli stellati pari a 284.380.000 di euro, lo 0,33% degli 85 miliardi complessivi.”
Catene e ristoranti etnici
Tra le realtà in forte espansione in Italia che stanno influendo sulle abitudini di consumo, compaiono anche le catene e i ristoranti etnici. Rispetto alle prime, il Rapporto stima che il numero di locali facenti parte di catene si attesti attorno alle 5.500 unità, ovvero l’1,63% del totale dei locali, con un fatturato medio annuo per singolo ristorante di 730.000 euro e un ammontare complessivo di 4.015.000.000, il 4,72% del totale del settore. La ristorazione etnica ha visto crescere del 40% le attività negli ultimi 5 anni e alla fine del 2017 i locali che servivano cibi esotici erano 22.608, il 6,78% del totale, con 667.735 impiegati. Il proliferare delle catene e degli etnici è un fenomeno figlio della globalizzazione dei gusti e delle abitudini che apre a nuovi modelli di fruizione nei ristoranti. Il consumatore italiano under 35, ad esempio, cucina sempre meno a casa e, quando esce, va speso alla ricerca di nuovi sapori o di esperienze particolari, abbandonando l’idea di menu tradizionale per abbracciare formule più veloci, come starter – piatto principale – dessert, o più articolate, come i percorsi degustativi fatti di tante piccole portate.
Il food delivery
Il mercato del food delivery, senza contare il take away, nel 2018 valeva 1,1 miliardi in Italia. L’online food delivery, secondo le stime di alcuni operatori del settore, ha avuto una costante crescita: 121 milioni nel 2016, 207 milioni nel 2017 (+71%), 350 milioni nel 2018 (+69%) e si prevedono 590 milioni per il 2019. “La comparsa di numerosi aggregatori e distributori di cibo a domicilio, che tendenzialmente analizzano i big data relativi ai clienti senza condividerli con i ristoratori – prosegue Ferrari – apre a nuovi scenari, come la comparsa anche in Italia delle dark kitchen, cioè laboratori di produzione di cibo non aperti al pubblico che vivono grazie alle piattaforme o che appartengono alle piattaforme stesse, e l’uso concorrenziale dei dati per scoprire e cavalcare i trend prima degli altri.”
Il prossimo trend: i locali “accessible cool”
Secondo l’Osservatorio, con una middle class che sta lentamente sparendo e un potere d’acquisto medio in forte calo nel mondo occidentale, è plausibile stimare che i consumi di massa si andranno a concentrare nella fascia dei ristoranti economici. Tale categoria è suddivisa in locali accessibili non “cool”, ovvero percepiti negativamente come nel caso degli all you can eat, e in locali accessibili “cool”, rivolti sempre ad ampi target, ma percepiti positivamente. L’accessibile cool è l’anello di congiunzione tra il ristorante classico e il fast food, con un’offerta gastronomica veloce e un servizio informale. Un luogo che, grazie all’ambiente curato e prodotti di qualità percepita come alta, gode di buona reputazione. In termini economici è un modo per tenere sotto controllo i costi di materie prime e personale, ovvero le voci più impattanti per le attività ristorative, pur mantenendo buone marginalità.
Il processo di scelta
Un’indagine inedita dell’agenzia di marketing RistoratoreTop contenuta nel Rapporto ed effettuata sui clienti di 500 ristoranti distribuiti tra Milano, Roma, Torino, Trento e Firenze, spiega con sorpresa che il metodo di scelta del ristorante più diffuso nel 2019 è, come nell’era pre-internet, il passaparola (43,5%), seguito da Facebook (13,7%), Tripadvisor (13,3%) e Google (10,7%) e Instagram (7,9%).
“Il Rapporto intende raccontare il settore – conclude Ferrari – tanto dal punto di vista dei ristoratori quanto dei consumatori affinché i primi acquisiscano consapevolezza dei cambiamenti nelle abitudini dei secondi. Se i ristoratori, come categoria, sapranno intercettare ed interpretare il cambiamento, potranno arginare la snaturalizzazione delle tradizioni e l’omologazione dell’offerta.”
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