Non solo vino, anche vita, architettura, senso della casa, visioni del futuro. Iniziano i miei servizi per AD sui grandi del vino italiano. La prima intervista che potete leggere qui l’ho fatta mentre vendemmiavo il più famoso dei Sagrantino.
Ecco il link all’intervista a Marco Caprai @mcaprai:
http://adtoday.it/un-vino-per-sognare/
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UN VINO PER SOGNARE
Il suo Sagrantino passito è come l’uomo perfetto che ogni donna sogna di incontrare almeno una volta nella vita: ruvido, dolce ma non stucchevole, deciso ma a tratti delicato, muscoloso al punto giusto e persino un po’ misterioso. Non è un vino piacione, ma ha il carattere forte di chi sa il fatto suo e non vuole scendere a compromessi e così è anche lui, Marco Caprai, caparbio e coraggioso al punto da innescare il Risorgimento di un pezzo del suo territorio dalle ceneri di un vitigno, il Sagrantino, che aveva perso l’anima. “Sua Sagrantità: Produttore DiVino in Montefalco”, questa la definizione che dà di sé sul suo profilo twitter, non è un uomo facile, è come un cryptex, un cubo di Rubik che ha mille storie da raccontare. La più bella è quella che lo lega inscindibilmente al paesaggio, «perché l’agricoltore è il vero architetto del territorio, senza l’impresa agricola il paesaggio non esiste».
Da architetto del paesaggio, quindi, come ha disegnato la sua casa?
Seguendo tre caratteristiche che per me sono essenziali: che sia accogliente, che sia aperta e veda il paesaggio, ovvero che viva e mi consenta di vivere l’ambiente dove sorge. La casa è anche -o forse soprattutto– il luogo dove ci si siede a tavola tutti assieme e il massimo per me è farlo circondato dalla natura. Io mangio con e nel paesaggio, materia viva bella perché è plasmabile. Amo molto i materiali tradizionali, ritengo che ogni architettura debba confrontarsi con la natura in cui si trova.
Quali sono le sue città preferite in termini architettonici?
New York, Hong Kong e Roma. Hong Kong, in particolare, è una città che cambia la sua skyline continuamente, è bellissima ed estremamente affascinante. La prima volta che ci sono stato era l’inizio degli anni Novanta, a quel tempo era una città piacevole ma grigia. Oggi, ogni volta che ci torno, la trovo sempre più eccitante e bella a livello di colori e cromatismi. Il clima è orribile, non ci vivrei mai, ma una cosa è certa: a Hong Kong vedi la capacità dell’uomo di fare cose straordinarie, che riguardano tecnologia, innovazione, capacità costruttiva. Tutto questo è appassionante, la capacità di fare è una delle cose che più mi intrigano. Io cerco di dimostrare la mia capacità di fare con il vigneto, loro costruendo edifici pazzeschi: ognuno di noi cerca di lasciare a modo suo una traccia di quello che ha fatto nella vita.
Oggi molte cantine hanno chiamato grandi architetti a ridisegnare i loro spazi. Lei non ci ha mai pensato?
Credo che le cantine disegnate dalle archistar abbiano poco a che fare con l’agricoltura, ma ognuno è ovviamente libero di fare la sua scelta. Noi abbiamo ampliato la nostra struttura cercando di rispettare le tradizioni dell’Umbria.
Il suo rapporto con l’arte, invece?
Non sono un collezionista, non ho passione per collezionare niente. Per me il bello è il territorio, è il paesaggio. Sto facendo una fatica enorme per cambiare il mondo agricolo, per renderlo trasparente ed economicamente autosufficiente. La mia passione è questa, sento profondamente questo mondo e vorrei che diventasse più competitivo. Forse sembra banale, ma non lo è. Il vino può provare a cambiare molti malcostumi dell’agricoltura italiana, o almeno, io voglio provare a farlo.
C’è da scommetterci che ci riuscirà. In 25 anni ha fatto rinascere un vitigno che altrimenti sarebbe andato perso per sempre e lo ha trasformato in uno dei vini più famosi del mondo. Come si sente a essere una persona così importante per l’Umbria e per il mondo del vino italiano?
Mi sento bene, perché ho voluto tutto questo, l’ho perseguito, non è certo successo per caso. Nel 1988 ho visitato la Napa Valley, negli Stati Uniti, per la prima volta: lì ho visto un mondo straordinariamente evoluto e ho voluto provare a riproporlo in Italia. Montefalco oggi è nella top ten destination dei wine lover che visitano il nostro Paese. Quando ho iniziato io c’erano 4 o 5 cantine, oggi ce ne sono 80. All’epoca c’erano due alberghetti e un paio di ristorantini, oggi ci sono circa 3000 posti letto e una quarantina di locali.
Il vino italiano fa 5 miliardi di euro di fatturato estero all’anno. Perché il consumo interno, invece, è sempre più in contrazione?
I motivi sono tantissimi. Stili di vita mutati, una diversa attenzione al fitness, ma soprattutto secondo me questioni economiche. A Hong Kong un manager che guadagna 100.000 euro ha il 10% di tassazione, in Italia pagherebbe il 55%, dove vuoi che si spendano i soldi?
E come la mettiamo con l’Expo 2015?
È una grande chance per l’Italia e ritengo che andrà molto bene. Il tema dell’Expo interpreta al cento per cento l’essenza nazionale e tutti noi dobbiamo giocarci questa grande occasione per far conoscere il nostro territorio e tutte le magnifiche realtà che abbiamo.
Ci descrive i suoi vini?
Semplice, sono come me. Ambiziosi, di sostanza e con un po’ di quell’anima agricola che uno cerca di custodire e raccontare. Il mio primo figlio è il Sagrantino e forse rappresenta anche la mia emancipazione. Rendersi indipendenti da padri importanti come il mio (l’industriale tessile Arnaldo Caprai, ndr) non è una cosa facile e riesci a farlo davvero solo se sei in grado di determinare su te stesso una credibilità riconosciuta. Il bello del vino è che ti permette anche questo, e ti permette ancora di sognare.
A proposito di sogni, lei è anche uno dei promotori del film “Duel of wine”, titolo provvisorio di una pellicola sul vino tutta made in Italy che verrà presentata al festival del cinema di Berlino.
È una pellicola che attraversa da Nord a Sud l’Italia e tutti gli attori sono personaggi veri del mondo del vino. Anche io ho una parte nel film. “Viva il vino” è la frase tormentone che ci accompagna durante tutta la storia e c’è chi dice che dovrebbe diventare anche il titolo. Vedremo. Fare questo mestiere, fare vino, è una cosa veramente complessa, tentare di fare in modo che diventi un valore da export del Paese è un continuo ricamo. Il fatto di ospitare e far vivere i piaceri che il nostro territorio sa offrire a delegazioni di giornalisti, istituzioni e così via, è il sistema che permette di fare innamorare le persone di luoghi, territori, sapori. Questo è il lavoro che l’agricoltura fa rispetto a tutti gli altri settori in Italia. Il territorio è l’elemento forte della nostra diversità. Fare vino è quella capacità di mettere a leva la conoscenza degli uomini per portare in alto, per sollevare, un territorio. Nessun’altro prodotto agricolo ha questa straordinaria capacità. Perché il vino è un elevatore di status? Perché è conoscenza, innovazione, ricerca, arte, passione, paesaggio, cultura, non ci sono mondi che hanno tutta questa valenza nell’economia mondiale. Nel vino c’è la gioia, il piacere, il bello, la convivialità.
Il vino è…
Passione, amicizia, bellezza.