Ci siamo dimenticati del quarto potere. Un giorno noi giornalisti ci siamo svegliati – sempre più poveri, sempre più bistrattati –, e non abbiamo più ricordato chi eravamo e chi dovremmo essere anche oggi.
Ma andiamo per gradi. Con “quarto potere” si indica la capacità della stampa di orientare l’opinione pubblica. L’espressione è nata in Inghilterra: nel 1787, durante una seduta della Camera dei Comuni del Parlamento inglese, il deputato Edmund Burke esclamò rivolgendosi ai cronisti parlamentari seduti nella tribuna riservata alla stampa: “Voi siete il quarto potere!“
Quello nelle mani della stampa libera è più una forma di potere che un potere vero e proprio: la stampa ha, quindi, modo di influenzare il giudizio dei lettori nonché dei cittadini, far crollare mercati o volare le borse.
Ma di tutto questo noi giornalisti probabilmente ci siamo dimenticati. E lo abbiamo fatto dimenticare anche ai nostri lettori, altrimenti non si spiegherebbe l’avanzata degli influencer di oggi, definiti tali non tanto per le opinioni degne di nota o per le comprovate doti bensì per l’ampiezza di pubblico di seguaci, misurata soprattutto sui social network (dove un follow o un like, si sa, si mettono spesso e volentieri alla rinfusa).
Il giornalismo non è un villaggio globale, non è nemmeno un messaggio, tantomeno un mezzo, è la scacchiera delle idee senza le quali il mondo cammina a testa in giù. I giornalisti hanno un Ordine che tutela i lettori e un codice deontologico che impone regole e comportamenti. Hanno anni di gavetta nello scrivere e nel trattare le notizie, non si improvvisano scrittori, critici e opinionisti con un click.
Il giornalismo oggi ha grandissimi problemi. I giornali stentano a stare in piedi e i giornalisti, se sono pagati, lo sono a prezzi talmente bassi che voi non potete nemmeno immaginare. Ma è giornalismo, ed è l’unico influencer che possa garantire serietà ed affidabilità.
Perché come ha scritto in un articolo de Il Foglio Giuliano Ferrara:
“Jeff Bezos(Amazon) senza il Washington Post è uno spedizioniere di successo. Con il giornale di James Reston, Ben Bradlee e Kate Graham, un giornale che è sempre di carta anche quando è impaginato su un monitor, è un figo mondiale capace di spendere sessanta milioni di dollari per dire in qualche istante alla platea del Superbowl parole importanti (democracy dies in darkness). Non è questione di guadagnarci o perdere, gli affari sono affari ma la stampa è la stampa”.