A Sant’Erasmo, per il carciofo violetto

Centomila sono le piante del Consorzio e centomila sono le castraure di Sant’Erasmo. Sono le prime gemme delle carciofaie dell’isola di Sant’Erasmo, più famosa come l’orto di Venezia, quelle che si portano sulle tavole e che hanno un gusto inconfondibile, perché racchiudono il sapore dolce e amaro della salinità, della sabbia e della terra della laguna nord.

Sant’Erasmo è un’oasi di pace nella laguna, un lembo di terra che si estende tra campi verdi e coltivati, capace di far fiorire vere e proprie prelibatezze che non hanno rivali. E per far conoscere la punta di diamante di questa terra, domenica 22 maggio il Consorzio del carciofo violetto apre le porte delle proprie aziende, una quindicina in totale, per mostrare le piante che sono un presidio slow food dal 2002 e sono dislocate tra Sant’Erasmo, Vignole e Lio Piccolo.

“Il carciofo violetto di Sant’Erasmo era un ortaggio ormai abbandonato e nel 1996 alcuni produttori, in particolare Giovanni Vignotto, stanchi dei prodotti che venivano venduti nei mercati spacciandosi per Sant’Erasmo, smossero l’interessamento di Coldiretti e Regione Veneto, da qui venne fatto uno studio e nel 2004 è nato il Consorzio – spiega il presidente Carlo Finotello – abbiamo preso in mano un prodotto che era in via di estinzione e portato questo carciofo ad essere un’eccellenza mondiale. E noi ne siamo anche gelosi: per esempio, abbiamo registrato il termine castraura, che abbiamo coniato noi e che solo il Consorzio potrebbe usare”.

Ma la castraura è solo il frutto apicale della pianta, il più tenero e pregiato, che viene tagliato per primo in modo da permettere lo sviluppo degli altri. Poi c’è tutto un mondo, racchiuso in un periodo che va da metà aprile a metà giugno, e che segue un disciplinare ben preciso che non prevede l’utilizzo di alcun fitosanitario e diserbante durante la crescita della pianta per garantire intatto il sapore salmastro. Una pianta produce in media una ventina di frutti a stagione e la produzione del carciofo violetto si aggira sul milione di carciofi.

“Di castraura ce n’è una per pianta ed essendo le piante 100.000 abbiamo 100.000 castraure – continua – si raccoglie in un periodo limitato, che dura una quindicina di giorni, da metà aprile ai primi di maggio. Quest’anno siamo in ritardo a causa della siccità che ha creato grossi problemi alle coltivazioni in generale, oltre al ritorno del freddo nel mese di marzo che ha bloccato la produzione. Dopo le castraure arrivano i botoli, poi gli articiocchi e le mazzette che sono quei carciofi morbidi che escono lateralmente e vengono tagliati con il gambo lungo. Si chiamano mazzette perché quando i nostri antenati andavano a remi al mercato di Rialto, mettevano questi mazzi di carciofi sulla prua ed era uno spettacolo da vedere”.

La particolarità che lo distingue da tutti gli altri è proprio il fatto di essere coltivato in isola ed assumere quel sapore inconfondibile che solo la laguna può dare. “Tutto quello che si produce nella laguna di Venezia si distingue per il salmastro – aggiunge Finotello-  Quella percentuale di salinità rende molto più saporiti i nostri prodotti, è vero che le piante sono molto più sotto stress e si produce meno ma risalta molto il sapore ed è questo il nostro valore aggiunto”. Saranno proprio i produttori a raccontare, domenica 15 e domenica 22, i segreti di questa coltivazione: si potrà entrare nei campi, avere informazioni sulle piante, sui prodotti, sulle tecniche di cottura, acquistare carciofi direttamente dai produttori e poi, nei ristoranti convenzionati, assaggiare quei prodotti a km zero.

Ma il carciofo non è l’unica eccellenza che si potrà conoscere durante le due domeniche di visite guidate. Perché le donne dell’isola metteranno in mostra, alla Torre Massimiliana, il frutto di un percorso storico che vede la realizzazione di una fibra di tessuto partendo dall’ortica.

I fusti vengono lasciati macerare in acqua per circa dieci giorni e, successivamente, la poltiglia che se ne ricava viene fatta asciugare e pettinata come fosse una lana. Il risultato è una fibra grezza che ha la consistenza tra il cotone e il lino.

Il progetto nasce dalla moglie di Carlo, Cosetta, che nei progetti di didattica aveva il desiderio di fornire un quadro più ampio della famiglia contadina. Agris Arte è il nome scelto per dare vita a un gruppo di 13 donne che mettono la loro creatività a servizio degli altri.

La fibra vegetale viene lavorata a mano, è un tessuto ecosostenibile perché non richiede fitoparassitari e l’ortica stessa, oltre ad avere molte proprietà benefiche, è versatile ed utilizzabile in vari settori, dalla cucina all’ erboristeria.

In mostra, alla Torre ci sarà la prima esposizione di alcuni articoli realizzati con l’ortica a uncinetto e a telaio, come uno scialle, un gilet, un cappello, un acchiappa sogni e dei giocattoli, anche se il sogno è quello di realizzare della biancheria intima perché questa fibra fa traspirare la pelle, non punge e mantiene costante la temperatura corporea.

Sempre in Torre saranno esposte le mostre fotografiche di Gianni Ragazzi, sculture in legno di Adriano Zane e una mostra di pittura di Isabelle De Bei. Domenica 22 si terrà anche la Carciofo Violetto Trail, una corsa o camminata immersi nella natura fra campi e vigne.

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