Vignaioli all'attacco

Picchia duro il presidente dei Vignaioli del Trentino Nicola Balter, che ieri ha indetto una conferenza stampa per dire la sua sulla situazione vinicola trentina alla luce delle ultime, preoccupanti, notizie. Il ragionamento parte dall’accorpamento di La Vis in Cavit o Mezzacorona: «Con gli ingenti debiti che ha la cantina lavisiana, possibile che sembri che queste due realtà si contendano il salvataggio? E poi, non abbiamo ancora capito che strategie offrono Cavit e Mezzacorona per rendere positiva l’operazione. E la Federazione delle cooperative, quanti milioni di euro di debiti ha, nel suo totale, contando vino, latte, funivie e molte altre realtà? Riuscirà a coprire tutti questi milioni di euro in rosso?». Domande a cui Balter chiede di rispondere. Quanto a Fedcoop, i Vignaioli ritengono che il sistema cooperativo vada una volta per tutte rivisto «e per farlo bisogna cambiare le persone, perché è difficile che chi da trent’anni è in questo mondo riesca a reinventare le proprie idee». Via tutti, insomma, dal numero uno di via Segantini ai dirigenti delle cantine, verso i quali, Balter, lancia un altro sasso: «Nessun’altra cantina italiana ha come direttori o amministratori degli enotecnici, a differenza che da noi. Forse il loro ruolo è sbagliato». Bando alle fusioni, poi, meglio scindere, come la Cantina di Cembra, che dovrebbe uscire da La Vis e La Vis risollevarsi, con aiuti anche pubblici, ma con le sue gambe, senza farsi inglobare da altre realtà. Perché, spiega Balter, «se ipotizziamo che Mezzacorona acquisisca La Vis, l’azienda guidata da Fabio Rizzoli arriverebbe ad avere il 60% della produzione trentina. In questo caso, come facciamo a promuovere il territorio se la maggior parte del vino viene fatto da un’unica testa? Abbiamo paura che si perda l’identità territoriale e si vada verso l’omologazione. Più grande diventa il mondo cooperativo più difficile sarà limitarne le richieste o le prepotenze». Il modello vinicolo da seguire è quello altoatesino («e gli attacchi di Peter Dipoli devono far riflettere non offendere»), secondo Balter: tante piccole cantine, sociali e non, che lavorano con un obiettivo comune, la qualità, «quella di cui in Trentino si parla fin troppo, senza i fatti». Serve puntare sui prodotti autoctoni e rielaborare i disciplinari, perché «fino ad ora abbiamo solo seguito le mode» e «i contadini hanno guardato solo al portafoglio, cioè a conferire alle cantine sociali che offrivano le remunerazioni più alte». E ancora: basta investire fuori regione e porre un tetto massimo di contributi pubblici al mondo del vino di 3 milioni di euro. «In Trentino possono esistere aziende commerciali che vendono vino da fuori regione, ma senza apporre sull’etichetta il marchio trentino, altrimenti se ne danneggia l’immagine». Le potenzialità sono di 110 milioni di bottiglie contro le attuali 50 milioni (su un totale di 250 milioni attualmente imbottigliate in Trentino, o per conto terzi o per commercializzarle direttamente). I Vignaioli vogliono lavorare assieme alla cooperazione per risollevare il mondo del vino locale («perché siamo tutti contadini e dobbiamo interpretare la terra insieme»), ma se la strada non sarà quella della qualità sono pronti a ballare, con amarezza, da soli. Poi c’è il sogno di un marchio vinicolo regionale, Trentino ed Alto Adige assieme.

«Abbiamo apprezzato molto Dellai e il suo intervento che ha bloccato i giochi di acquisto tra cooperative, e la volontà di creare il gruppo di lavoro della Fondazione Mach». Ma San Michele che oggettivamente non sa vendere il suo vino, potrà trovare la ricetta giusta per rendere d’appeal l’enologia trentina, con l’aggravante dell’attuale tonfo d’immagine?

(mio articolo sul Corriere del Trentino di oggi)

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