Siamo quello che mangiamo, leggiamo, ascoltiamo

Qualcuno dei presenti mi chiede di pubblicare il mio intervento, svoltosi qui… Esauditi.

Intervento Francesca Negri

Io ho una grande fortuna: infatti di lavoro faccio quello che è sempre stata la mia più grande passione, scrivere mangiare e bere. È da quando ho 18 anni che per puro diletto personale trascorro i miei fine settimana a girare ristoranti, cantine e a cercare di scovare piccoli produttore di grandi prelibatezze. Poi è diventato un lavoro. Ho iniziato ad avvicinarmi a questo mondo che ritengo davvero magico grazie ad amici chef e sommelier, ma anche grazie a tante letture, di guide ed articoli: quelli che adesso da un po’ di anni scrivo anch’io, capendo che una delle cose più difficili è riuscire a trasmettere a parole le emozioni visive, olfattive e gustative di un piatto come di una terra. Ed è anche questa la magia della scrittura, che non appartiene a tutti. Scrivere e leggere sono ambedue un arte e un piacere in cui si rispecchiano le personalità, e talvolta trovano modo di maturare.

Tornando a tutti i miei vagabondaggi gustosi, in questi  ultimi 17 anni ho scoperto  molte cose, tra cui anche il fatto che c’è un lato femminile dell’enogastronomia e un senso femminile per il vino e per il cibo. Ora se ne inizia a parlare di frequente, soprattutto di donne e vino, ma personalmente è da molto prima di oggi che mi occupo di questa cosa, attraverso il mio blog, GeishaGourmet, e con il mio ultimo romanzo, Sex and the wine L’altra metà del vino, uscito quasi un anno fa e che a tutti gli effetti sta riuscendo a catalizzare sempre di più l’attenzione su quello che io credo sia una nuova generazione di donne, che fanno del cibo e del vino un vero e proprio piacere di cui godere appena possibile, una componente essenziale della loro vita, una via d’espressione privilegiata e alla stregua di un vestito o un paio di scarpe: tanto per capirci… ho voglia di una serata chic? Tacco 15, vestito firmato e champagne. Ho voglia di stare easy? Jeans, t-shirt e un Lugana.

Il cibo e il vino come simboli di una nuova generazione di donne è un argomento tutt’altro che facile come forse potrebbe sembrare. Se si ripercorre la storia, infatti, si scopre che il cibo per le donne è sempre stato una rappresentazione di sé, un fattore di comunicazione e addirittura di protesta. Noi donne forse più di tutti siamo quello che mangiamo.

E allora sfogliando i libri di storia e sociologia scopriamo che nel Medioevo c’erano le sante anoressiche, nient’altro che donne che utilizzavano il cibo – forse sarebbe meglio dire l’astinenza dal cibo – per protestare contro, ad esempio, un matrimonio forzato: piuttosto di cedere al volere della famiglia, queste donne si privavano del nutrimento, lasciandosi lentamente morire. Oppure c’erano quelle donne che, per avvicinarsi a Dio e al calvario di Gesù nella via crucis, martoriavano il proprio corpo con digiuni impossibili, in modo che il loro fisico iniziasse a recare i segni delle sofferenze di Cristo.

Poi c’erano le donne additate di utilizzare il cibo per uccidere i propri nemici, oppure per irretire le proprie prede maschili. E ovviamente questo era motivo di essere messe al rogo.

Essere magre, per le donne, è sempre stato un canone di bellezza estrema e, in alcuni secoli, elemento di distinzione tra aristocrazia e popolo: le donne aristocratiche dovevano essere filiformi, con un bel seno, collo lungo, gambe e braccia sottili, pelle diafana; le donne del popolo, invece, più erano tornite meglio era, perché il lavoro necessitava energia e così il fare figli.

Via col vento penso sia un film che abbiamo visto tutti con più o meno attenzione. E i più attenti forse ricordano i consigli della mitica Mamy: a una Rossella contenta di andare a un ballo perché così avrebbe potuto mangiare tante cose buone lei replica di inghiottire immediatamente un uovo sodo intero, in modo da sentirsi sazia e non mangiare nulla al party, perché le signorine che vogliono trovare marito devono dare l’idea di non mangiare molto, anzi, di mangiare “come un uccellino”. Ecco, questa era una delle mode che più hanno perdurato nei secoli: tra le caratteristiche di una buona aspirante moglie ci doveva essere il non necessitare di grande nutrimento, in modo da non pesare tanto sul bilancio familiare. L’esatto opposto di chi era di tradizione contadina: lì se non eri bella incarne e soprattutto se non sapevi fare una polenta perfetta non ti sposava nessuno…

Altro mito perpetuato da una delle donne simbolo per l’immaginario femminile, la principessa Sissi, è il vitino da vespa: mia mamma che ha 75 anni ancora guarda con rimpianto una cintura di quando aveva vent’anni, simbolo del suo vitino da vespa: la circonferenza è di appena 55 cm… Penso che sia la misura del mio girocoscia…

 

Non vi ho parlato di vino, anch’esso un grande nutrimento, perché alle donne è sempre stato vietato: ai tempi dei Romani ti ammazzavano se ti scoprivano anche solo con le chiavi della cantina in mano, e fino agli anni Settanta – o forse anche un po’ dopo – non eri una brava ragazza se ti facevi vedere bere un bicchiere di vino in pubblico.

 

Insomma, un po’ le donne, molto gli uomini, hanno sempre, per secoli e secoli, turbato l’alimentazione del mondo femminile. Per questo la nuova generazione di donne che descrivo nel mio romanzo Sex and the wine rappresenta l’ennesima via d’espressione, attraverso il cibo e il vino, di noi donne. Solo che le cinque protagoniste del romanzo fanno del mangiare e soprattutto del bere vino un simbolo di emancipazione da quella società maschile che per secoli ha privato le donne di questi piaceri. Cleo, Zoe, Giulia, Alice ed Alessandra godono dell’enogastronomia, la vivono come vivono gli uomini: con  la stessa curiosità, con la stessa voglia di essere sedotte (anche se da un risotto o da un Amarone), con gli stessi motti di fedeltà e infedeltà, per essere libere di sperimentare cose nuove e fare il giro del mondo stando sedute a tavola. Molte donne, come le protagoniste del mio romanzo, già sono così, molte altre lo possono diventare: basta scegliere questo nuovo modo di essere, che passa attraverso un piacere della tavola attento alla qualità dei prodotti, moderato nelle quantità ma sempre alla ricerca dell’eccellenza e della genuinità, attento alla sostenibilità e con un imperativo: godersela e sorridere. Una mia lettrice, un giorno, mi ha scritto un’email che voglio condividere con voi concludendo così il mio intervento. Credo riassuma due dei concetti della nostra tavola rotonda, siamo ciò che mangiamo e ciò che leggiamo: 

Lavoro nella moda da anni, ma mi sono sempre sentita un leone in gabbia… Poi ho letto il tuo libro, il blog… E la mia trasformazione ha preso finalmente corpo … ti ringrazio di avermi fatto ri-apprezzare cose che avevo completamente dimenticato..sensi e spirito sapori e profumi.. con te ho appreso cosa sia il piacere di assaporare senza stare con il terrore di prendere un etto o con l’ansia di non essere perfetta.. iniziare a nutrirmi a mangiare per godere non per vivere…. non dover essere quello che vogliono gli altri ma quello che SONO”.

 

 

 

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