Lo strano caso dello Champagne che cresce in un momento di crisi generalizzata, reale e psicologica

E’ una tendenza strana quella registrata da Beverfood in merito ai dati dello champagne.  Nel 2011 le spedizioni globali delle blasonate bollicine francesi registrano una crescita superiore al 7% a valore, ossia 4,4 miliardi di euro, pari a un volume di 323 milioni di bottiglie.

Uno strano caso, per molteplici motivi. In primis perché negli ultimi due anni e soprattutto nel 2011, si è parlato di una crisi che ha condizionato psicologicamente i consumi: in sostanza, ci hanno raccontato sondaggi e psicologi, anche le persone che non hanno visto intaccare le loro capacità di spesa hanno adottato stili di vita meno “lussuosi”, più “concreti”, meno “vezzosi”. In questo modo si sono giustificati i cali di prenotazione vertiginosi negli hotel di lusso, nei ristoranti stellati, etc. Soprattutto in Italia, complice, ci dicono, anche il “terrorismo” della Guardia di Finanza con i suoi controlli a tappeto. Poi, però, scopri che, sempre in Italia, nel 2011 sono state vendute 7,6 milioni di bottiglie, ovvero un  +6,3% rispetto al 2010. Come è possibile? Ma non stavamo vivendo un periodo di understatement?

I maggiori incrementi registrati dallo champagne sono stati realizzati, comunque, in mercati lontani. Gli Stati Uniti raggiungono 19,4 milioni di bottiglie (+14,4%) e il Giappone 7,9 milioni di bottiglie (+6,7%). L’Australia si distingue sfiorando una crescita del 32% (4,9 milioni di bottiglie). Le vendite destinate all’Unione Europea (Francia esclusa) crescono del 2,1%, trainate dalla Germania (14,2 milioni di bottiglie, +8,5%), il Belgio (9,5 milioni di bottiglie, +8,5%), l’Italia (7,6 milioni di bottiglie, +6,3%) e Svezia, che fa il suo ingresso tra i primi dieci mercati all’export (2,4 milioni di bottiglie, +6,6% ).

Ironia della sorte, per lo champagne chi mette a segno un trend negativo? Il mercato francese, in lieve flessione rispetto al 2010 (-1,9%) a causa di una tassazione delle vendite nel corso degli ultimi mesi dell’anno.

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Commenti

  1. Quella della crisi è la più grande balla a livello mondiale, in realtà è una redistribuzione delle ricchezze: i poveri son sempre più poveri i ricchi son sempre più ricchi, ed ecco spiegato il trend positivo dello champagne.

  2. Un argomento che trovo davvero stimolante, ça va sans dire.
    Ci sono vari fattori legati alla fascia di clientela a cui il prodotto è diretto, alcuni ritocchi di listino, l’orientamento del mercato verso vini meno alcolici, ma ritengo il principale fattore sia la tendenza a bere meno, ma bere meglio, tendenza che hai evidenziato anche tu nell’articolo sul calo del consumo pro capite.

  3. E’ uno strano caso, sì, ma fiino a un certo punto. Nel mondo dello Champagne ci sono anche altri fattori di cui tener conto. Come ho scritto anni fa:

    I MISTERI DELLO CHAMPAGNE

    Forse qualcuno di voi ricorderà “I misteri di Parigi”, romanzone d’appendice ottocentesco di tal Eugène Sue, che all’epoca riscosse grande successo per le tematiche socialmente scabrose fra cui andò a rovistare. Oggi i misteri si sono spostati da Parigi a Reims, e hanno a che fare con una materia decisamente più nobile, lo champagne: ma sempre misteri restano, anzi si infittiscono col passar del tempo.
    Ci spieghiamo meglio. Il 14 febbraio scorso il Centro Informazioni Champagne (rappresentante per l’Italia del CIVC, Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne, il potentissimo organismo collettivo di tutela del perlage più prezioso del mondo) ha diffuso i dati di importazione 2005 dello champagne in Italia. Tali dati parlano per il nostro Paese di un incremento del 7,69% sul 2004, “una conferma” si legge nel comunicato “dell’ottimo stato di salute del mercato italiano”.
    Due settimane dopo la Nielsen Italia, società leader nelle ricerche quantitative di mercato, ha reso noti i dati di consumo di champagne in Italia per il periodo febbraio 2005 – gennaio 2006 (sempre 12 mesi, ma spostati in avanti di un mese rispetto all’anno solare 2005) e per i canali “vendita a corpo + bar” (vale a dire la somma di asporto e bar). I dati Nielsen registrano invece un calo sui dodici mesi precedenti del 4,5%.
    In buona sostanza, importazioni e consumi hanno mostrato un andamento divergente: le prime sono cresciute, i secondi sono diminuiti.
    Non è la prima volta che i dati non collimano. Lo scorso anno di questi tempi, ad esempio, le importazioni 2004 di champagne in Italia flettevano del 3,58%, mentre i consumi Nielsen febbraio 2004 – gennaio 2005 crollavano addirittura del 6,3%.
    La morale? Nonostante un quadro di mercato fortemente negativo, negli ultimi due anni le importazioni di champagne in Italia hanno sistematicamente superato nella loro dinamica i consumi. Come mai?
    Possiamo fare alcune ipotesi al riguardo, e se avrete la pazienza di seguirci le commenteremo brevemente assieme:
    1. Le importazioni coprono il totale del mercato italiano, mentre le analisi Nielsen da noi esaminate coprono solo alcuni canali (restano escluse, ad esempio, le vendite ai ristoranti, agli alberghi e ai locali notturni). Si potrebbe allora immaginare che il calo nei consumi a casa e al bar sia stato più che compensato dalla crescita vertiginosa dei consumi al tavolo. Possibile, ma molto improbabile, visti i prezzi che lo champagne normalmente registra nelle proposte fuori casa. E di questi tempi siamo tutti più attenti al portafoglio…
    2. Gli operatori della distribuzione italiana (importatori, grossisti, dettaglianti, supermercati e ipermercati) sono dei beoni. Visto che il mercato non tirava, hanno continuato cioè a importare allegramente champagne e se lo sono bevuto loro, magari per consolarsi delle vendite fiacche. Possibile, ma molto improbabile: si sarebbe trattato di una grande bevuta di massa, di alcune centinaia di migliaia di bottiglie, e ce ne saremmo verosimilmente accorti.
    3. Gli operatori della distribuzione nazionale (quelli di prima: importatori, grossisti, dettaglianti, supermercati e ipermercati) sono degli sprovveduti. Con il barometro del mercato fermo sul brutto stabile, hanno perseverato indefessi a importare come se niente fosse, e hanno aumentato così le loro giacenze di magazzino, forse in attesa di tempi migliori. Possibile, ma molto improbabile: chi lavora lungo la filiera commerciale normalmente sa fare i suoi conti, e difficilmente si appesantisce di merce destinata a rimanere invenduta (soprattutto di champagne, poi, che costa molto e che certo non migliora a starsene fermo in bottiglia).
    4. Non tutto lo champagne importato in Italia è stato destinato al consumo in Italia. Sfruttando differenziali internazionali di prezzo e/o di promozione, lo champagne entrato nel nostro Paese potrebbe cioè aver ripreso parzialmente la strada dell’estero, per essere consumato da qualche altra parte. Speculazione, in parole povere. Ciò contribuirebbe a spiegare discrepanze sistematiche fra le importazioni (gli “arrivi”) e i consumi (lo “smaltimento”) a livello italiano: le differenze sarebbero in uscita, non registrate. Possibile; probabile?
    A nostro avviso un cocktail dei quattro punti esposti qua sopra può giustificare la dissonanza fra le cifre del Centro Informazioni Champagne e quelle della Nielsen: anche se, siamo sinceri, noi propendiamo decisamente per la quarta ipotesi.
    Ora, sia il Centro Informazioni Champagne sia la Nielsen sono realtà di tutto rispetto, e sanno fare benissimo il loro mestiere. Chissà se vorranno aiutarci con il loro autorevole parere a dipanare questa intricata matassa? Possibile, ma, se conosciamo bene i nostri polli, altamente improbabile.
    E così i misteri di Reims, i misteri dello champagne continueranno a rimanere tali…
    Piero Valdiserra

    • Geisha Gourmet
    • 12 Marzo 2012

    Davvero grazie Piero per il tuo contributo. Il mistero si infittisce 😉

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