Intervista a Donatella Cinelli Colombini | Il turismo enogastronomico ci salverà

Per chi se la fosse persa su A Tavola di ottobre 2012, ecco qui l’intervista che ho fatto a una delle grandi donne del vino italiano.

È forse la donna più importante per il turismo enogastronomico italiano. Alla guida della sua cantina Casato Prime Donne e del complesso turistico Fattoria del Colle a Trequanda, nel Chianti del Sud, vent’anni fa ha fondato il Movimento turismo del vino, primo e ancora oggi più importante punto di riferimento per l’enoturismo di qualità in grado di creare sinergie territoriali con tutto il comparto di produzioni agroalimentari tipiche. Stiamo parlando di Donatella Cinelli Colombini, per dieci anni anche assessore al turismo di Siena.

 

Nel 2013 il Movimento turismo del vino che lei ha fondato, inventando anche Cantine Aperte, compirà 20 anni . A che punto siamo col turismo enogastronomico in Italia?

Nelle cantine c’è un crescente impegno a qualificare l’accoglienza: realtà come quella di Antinori a Bargino – poco fuori Firenze – sono il trionfo del turismo del vino d’alto livello. Dall’accoglienza familiare del produttore che fa assaggiare il vino in casa sua, alla grande azienda come Ferrari con la cantina Carapace disegnata da  Arnaldo Pomodoro, tutti fanno del loro meglio e nell’insieme l’offerta enoturistica appare diversificata e organizzata sempre meglio. Il tasto dolente, invece, riguarda le strutture collettive, come le Strade del vino, che sono oltre 150, ma solo una decina sono realmente funzionanti. Non solo.  Un’indagine fatta lo scorso anno sugli uffici turistici e sui sistemi di comunicazione web delle migliori Strade del vino ha dato risultati sconfortanti: i loro siti internet sono quasi solo in italiano, i calendari degli eventi  non vengono mai aggiornati e risultano fermi a due anni fa. Gli uffici turistici? Per la maggior parte sono inesistenti o comunque sempre chiusi la domenica. A dire il vero basterebbe dare un’occhiata al portale italiano del turismo, www.italia.it , scartabellando nella voce enogastronomia, per capire che quello è lo specchio di un Paese che lascia il turismo senza una regia strategica. Una scelta, questa, che ha effetti devastanti, specialmente nei comparti più performanti e promettenti  come il turismo del vino.  È un peccato, perché l’interesse della gente c’è: nelle mie cantine del Casato Prime Donne a Montalcino e della Fattoria del Colle nel sud del Chianti, ad esempio,  la vendita diretta ai turisti è aumenta del 10% e si è concentrata sulle bottiglie migliori.

 

I dati turistici dell’estate 2012 segnalano un aumento del turismo enogastronomico. È questo il futuro di un comparto italiano che pesa molto sul Pil?

Di certo, questo è l’anno senza turisti italiani. I nostri connazionali, spolpati dalle tasse e preoccupati di perdere il lavoro, hanno deciso di risparmiare spezzando le ferie in tre o quattro short break  in località vicine a casa. Sembra invece tenere il turismo estero con un sensibile aumento di olandesi e scandinavi, oltre che di brasiliani, che appaiono i migliori frequentatori di alberghi e ristoranti di lusso.

Il turismo enogastronomico tiene bene anche perché i week end fuori casa degli italiani, che sostituiscono la vacanza lunga di un tempo, spesso puntano sul piacere della tavola e dei prodotti genuini acquistati direttamente nel loro luogo di produzione, a prezzi solitamente più conveniente. Nonostante questo, anche quello dei food e wine lover è un turismo che è in sofferenza. Basti pensare alla ristorazione, che ha pagato un prezzo altissimo con la crisi. Moltissimi ristoranti lavorano poco e a singhiozzo e anche i pasti si sono modificati, con una riduzione del numero delle portate che ha colpito soprattutto i dolci e con  la sostituzione del primo o del secondo piatto con l’antipasto: tutti espedienti, questi, per spendere meno, come la rinuncia alle bottiglie molto costose.

C’è da sperare che il ministro Mario Catania, che ha ben operato in molti comparti, intervenga con decisione anche sul versante del turismo enogastronomico che è la più importante vetrina del nostro agroalimentare nei confronti dell’estero.

 

Pregi e difetti del made in Italy del food e wine?

Direi che il maggior difetto sta nell’eccesso di  copie. Troppi prodotti con il tricolore nell’etichetta non hanno mai visto l’Italia e finiscono per confondere le idee – e il sapore  -del vero made in Italy. Leggevo, proprio in questi giorni l’opinione di Nello Barile, professore di sociologia allo IULM di Milano e autore di una ricerca del CNR su “Made in Italy come metatrend”, che spiega come l’immagine del made in Italy enogastronomico sia ferma da una trentina di anni. Un’immagine di bellezza paesaggistica che definisce un’identità poco aperta all’innovazione.  Insomma, l’immagine è troppo collegata alle aree di produzione e dovrebbe invece  orientarsi su una formula  più partecipativa, etica, aperta.  Forse non ha torto. Il settore della moda dà chiare indicazioni in questa direzione.

 

È  vero, secondo lei, che il vino sta cambiando perché cambiano i gusti enologici dei consumatori?

Certo che cambiano, perché cambiano i bisogni e le culture alimentari dei consumatori: meno grassi animali e più verdura, meno sale, meno zucchero…. Meno cucina tradizionale e più piatti cinesi, giapponesi, indiani…. Meno pasti convenzionali seduti a tavola e più finger food e happy hour. Insomma, con un simile cambiamento del modo di mangiare e persino dei commensali (che anno dopo anno diventano più multietnici) non c’è da meravigliarsi se c’è bisogno di vini diversi dal passato. Ecco, così, che le bollicine stanno vivendo negli ultimi tempi, un successo strepitoso e i rosati sono l’ultima moda, mentre ai rossi viene richiesto di diventare più morbidi, eleganti e bevibili.

 

Lei, la sua azienda, il Casato Prime Donne: esiste un’interpretazione femminile del vino?

Certo che sì!  E io sono una delle più ferventi sostenitrici di questo, tanto che Casato Prime Donne è la prima cantina in Italia con un organico interamente femminile. Sono donne le cantiniere e anche la consulente enologa Valerie Lavigne. Il vino bandiera, il Brunello Prime Donne è selezionato nell’intera produzione aziendale da un panel di quattro assaggiatrici Maureen Ashley, Astrid Schwarz, Daniela Scrobogna e Marina Thompson. Recentemente, la Master of wine Rosemary George ha scelto il Prime Donne fra i suoi tre Brunello 2007 preferiti.

Esaminando l’argomento “donne con cantina” in termini più generali, va detto che l’enologia al femminile è più radicata nel territorio, crede nei vitigni autoctoni e nella tipicità dei caratteri organolettici. È noto, infatti, che le cantine in rosa sono, oltre che meglio gestite rispetto a quelle degli uomini, anche più orientate sulle denominazioni di origine, il localismo e l’alta qualità dei vini. Nel caso del Casato Prime Donne questo ha significato la riscoperta di un vitigno autoctono come il Foglia tonda, ma anche l’uso di botti grandi in alternativa alle barrique e della zappatura in alternativa al diserbo nei vigneti. Anche nella vinificazione stiamo riscoprendo l’identità locale con l’uso di lieviti autoctoni selezionati nel Brunello e di tini da fermentazione muniti di follatore che ripropongono, in chiave moderna, gli antichi sistemi dei conventi e delle fattorie di un tempo.

Un’altra chiave di lettura dell’interpretazione femminile del vino riguarda “il vino che piace alle consumatrici donne”, ovvero cura del estetica della confezione, maggiore attenzione all’olfatto, minore alcolicità e sapori amari.

 

Il suo abbinamento perfetto cibo-vino?

Sono banale: una bistecca fiorentina di bue chianino cotta al sangue sulla brace e un Brunello riserva Casato Prime Donne 2006.

 

 

 

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